In questi giorni si stanno discutendo, in Commissione
Bilancio di Camera e Senato, i decreti attuativi della riforma che dovrebbe
modificare la Pubblica Amministrazione.
Al loro interno il Governo ha inserito un provvedimento che
disciplina l’azione di responsabilità per danni erariali; ossia chi deve
perseguire quei soggetti che hanno arrecato danno allo Stato attraverso lo
sperpero di soldi pubblici e, di conseguenza, avviare l’azione di recupero del
mal tolto.
Si parla in questo caso delle cosiddette società “in house”, ossia quelle società di
servizi il cui capitale è partecipato, interamente o quasi, dalle Regioni, dai Comuni o dalle ex (?)
Province, i cui amministratori sono, spesso se non sempre, emanazioni politiche
dei partiti che governano gli stessi Enti.
Ad oggi la funzione giurisdizionale e di controllo per tali
illeciti è affidata alla Corte dei Conti composta da giudici contabili,
altamente specializzati, la cui azione,
proprio in virtù delle loro qualifiche, è caratterizzata da una maggiore
celerità rispetto ai colleghi appartenenti alla magistratura ordinaria.
Per fare dei numeri, solo nel 2015 i
magistrati contabili hanno emesso atti di citazione in materia di partecipate
pari a 185 milioni di euro.
Orbene, sembra che questi provvedimenti ridurrebbero il
raggio d’azione della Corte dei Conti proprio nei confronti di tali società.
In sostanza gli amministratori delle società partecipate, o loro
successori, risponderebbero di danno erariale soltanto alla magistratura
ordinaria e non a quella contabile, con inevitabili lungaggini temporali ad alto
rischio prescrizione.
Rimarrebbero sotto giurisdizione della Corte dei Conti
soltanto i danni subiti “direttamente” dall’Ente controllante (Regione e Comuni).
Il Governo, che già qualche mese prima aveva tentato di
introdurre questa novità salvo poi fare marcia indietro viste le perplessità sollevate
della stessa Corte, giustifica la sua
scelta rifacendosi ad un parere del Consiglio di Stato in merito ad una
sentenza della Corte di Cassazione che riconosce la giurisdizione della
magistratura contabile: nei soli casi in cui un Ente pubblico abbia subito un ‘danno diretto’ al proprio patrimonio
e non un ‘danno indiretto’, subìto in conseguenza alla propria partecipazione al
capitale della società “in house”.
Tale danno sarebbe infatti “ …‘assorbito’
dall’azione di responsabilità civile promossa nei
confronti degli organi di amministrazione e di controllo innanzi al giudice
civile”.
Il colmo!! L’azione di responsabilità per danni causati alle
società partecipate – i cosiddetti danni “diretti”- dovrà essere avviata dagli
stessi vertici della società.
Ve li immaginate gli amministratori
che hanno sperperato il denaro pubblico che si autodenunciano?
In tutto questo la Corte dei Conti
avrebbe le mani legate.
Se tutto ciò si avverasse sarebbe
un colpo molto grave alla credibilità di questo Stato che fa del cambiamento, della lotta all’evasione e della corruzione
dei baluardi da cui non si può prescindere.
Aldilà delle colorazioni politiche
sarebbe auspicabile, da parte della classe dirigente, un moto d’orgoglio e ritornare sui propri
passi, magari rafforzando ancor di più il peso giurisdizionale della
Magistratura contabile piuttosto che indebolirla, quantomeno per far tacere quella
parte di italiani che vede in questo provvedimento il solito escamotage creato ad
hoc per coprire gli amici degli amici.