giovedì 5 dicembre 2013

La piuma di un gabbiano



Alcuni giorni fa, su vari tg  ho assistito ad immagini che ritraevano un barcone, l’ennesimo, che al largo delle coste meridionali italiane con il suo carico di vite umane, veniva sballottato da onde gigantesche per due giorni consecutivi. 
Nessuna delle imbarcazioni, giunte sul posto, era in grado di avvicinarlo per soccorrerlo. Quella scena mi ha profondamente colpito, ho immaginato bambini, donne e uomini chiusi negli angusti spazi di una bagnarola fredda e insicura, ormai fetida di maleodoranti rigurgiti, che cercavano di sopravvivere.
Urla e disperazioni in pochissimi centimetri quadrati. Ho immaginato anche i silenzi delle madri che, stringendo al petto i loro figli, pregavano il loro Dio, ragazzi in cerca di libertà che vedevano vanificati i loro desideri ormai rassegnati all’ineluttabile tragedia. Mi sono immedesimato, al caldo del mio salotto, nella loro condizione e seppur per un istante, una sensazione di disperazione e malinconia ha invaso i miei pensieri.
Al di là delle discussioni politiche che sul fenomeno dell’immigrazione clandestina si sono succedute e si succederanno nel tempo, quello che in questa sede voglio rimarcare è il rispetto che si deve a questa gente, esseri umani che ormai privi di qualsiasi cosa hanno il coraggio di aggrapparsi alla speranza, mettendo in gioco la loro esistenza pur di sentirsi liberi.  A questa gente e a tutte le persone che hanno perso la loro vita affrontando la tempesta, dedico questo spazio per esprimere il mio rispetto.           
 



 Dedicato ad un naufrago.
Dilagante ed impetuoso è il mare che si infrange sugli scogli, spumeggiante grida rabbia e potenza.
Il volo radente di uno sfrontato gabbiano contorna i confini dell’azzurro gigante; bianca la schiuma si erge nell’aria, tratteggiando nel cielo il verso del vento, impetuoso e potente compagno fedele. 
Ti senti sicuro a vederlo dall’alto, è come un attore che finge figure di grandiosa statura. Sulla rupe, protetto ed asciutto, ascolto sicuro i suoi boati che, come una coperta, avvolgono lo stridio degli uccelli e il frusciare dell’erba. 
Il tuono è la sua voce e le onde le sue braccia e mentre, con ostinata tenacia, cerca di spazzare via la scogliera che lo trattiene, ti ammalia con il suo incedere sinuoso. 
Vuole abbracciarti e portarti via, ma tu sei sicuro, i piedi sono fermi, la belva è lontana ma non demorde, come un felino si lancia sulla preda distendendosi sino all’estremo limite ma ti lascia solo un graffio, una riga di bianca salsedine che dipinge il tuo viso, il suo intento è abortito, la sua onda si ritira, resta solo la risacca e un bottino di terra strappata. Violente esplosioni accompagnano il suo corso, sferzate di schiuma s’innalzano nel cielo  mentre un timido arcobaleno mette fine alla sua caccia. 
Al largo la terra è un ricordo lontano,  nell’imponenza delle onde non ci sono braccia che ti avvolgono solo tentacoli arroganti, che bramosi della tua vita vogliono solo inabissarti. Acqua incolore invade i polmoni, il salmastro brucia i pensieri. Acqua indolente che annebbia la mente. Acqua assassina, sorda al tuo grido. Sono giorni che resisti, la stanchezza ti massacra, i ricordi sono forti, ti rivedi da bambino con tuo padre ad incitarti e tua madre a coccolarti. Acqua bastarda, acqua malvagia, la festa degli amici, la domenica mattina, i colori dell’estate. Acqua fredda e disgustosa, il rincorrere di un pallone, il primo bacio di nascosto. Sono stanco e indebolito, sono niente e senza vita sono solo una piuma, quella persa da un gabbiano sfrontato e irriverente che volteggia su questo mare.  

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