Dai su confessiamolo, la
preoccupazione inizia a farsi sentire, la tensione cresce, insomma la “sindrome
estiva” comincia a mordere, l’estate è ormai vicina e nessuno può fermare il
tempo, lo si vede nei bar, lo si nota al supermercato e soprattutto è evidente
in palestra.
I primi tepori tardano ad
arrivare ma è ben chiara in ognuno di noi l’esigenza di (come dire?!) rendere
presentabile il nostro fisico. E’ arrivato il momento di cambiare il guardaroba.
Via i maglioni, i giacconi, i cappotti e tutto l’abbigliamento invernale, che in questi mesi ha “celato” così bene i
nostri difetti e i nostri peccati di gola, e largo agli abiti primaverili o,
peggio, estivi, alle camicie slim, alle giacche aderenti, alle magliette, ai
pantaloni a vita bassa e, soprattutto, ai costumi da bagno.
Salvo poche eccezioni, alzi
la mano chi, indossando un indumento dell’anno prima, ha esclamato:“mi sta un po’ largo”. Come un fantasma
si materializza quel fastidioso, insolente e impertinente chiletto che riesce a
rovinare la silhouette del nostro fisico.
E allora presto con i
rimedi, subentra nella psiche umana l’irrefrenabile voglia di correggere gli “orrori
di gola” sottoponendosi a massacranti torture fisiche e privazioni alimentari;
il tutto entro poche, pochissime, settimane.
Inizia così il periodo delle
privazioni, dell’effimera illusione di rimediare, sintomo molto comune nelle
fila degli over “anta”.
Prima tappa: il bar. Come
resistere ad un croissant appena sfornato, alla vista di capolavori della
pasticceria italiana in bella vista, al profumo del caffè, alla visione dei
clienti che, con la bocca ancora spolverata dal bianco dello zucchero a velo, glorificano
la prelibatezza di un cannolo, di un millefoglie o di un cornetto alla crema?
Tutti i sensi sono sollecitati. Come reagire a questo attacco? La risposta è semplice: solo un caffè,
direbbe il buon senso, ma i sensi non rispondono e allora …”un croissant alla crema per favore, quello
tiepido mi raccomando!...e un caffè con UNA
BUSTINA DI DOLCIFICANTE, rimarcando il tono, quasi a voler far sentire
agli altri, ma più che altro a se stessi, l’esigenza di porre un limite
all’eccesso appena “consumato” .
Seconda tappa: la palestra,
incomprensibilmente piena di gente che, inspiegabilmente, sceglie di fare il
tuo stesso percorso di fitness (pancia piatta) al tuo stesso orario. E allora
lunghe e interminabili code al tapis roulant, alla cyclette, alla panca dei
pesi e a tutti quegli infernali strumenti di tortura. Risultato: esci stressato
e incazzato per aver perso un’ora del tuo tempo senza aver concluso niente.
Terza tappa: il
supermercato. Preso dai rimorsi suscitati dalla prima tappa (il bar) si pensa ai rimedi. Come nutrirsi senza
grassi? Si comincia dalla scelta dei biscotti per la prima colazione, rigorosamente
a base di the o, al più, di latte scremato. Come un turista al museo ci si
trova davanti allo scaffale ammirando le varietà di prodotti che il mercato
offre, e allora, indossando i fedelissimi occhialini da presbite, si comincia a
leggere le etichette nelle speranza di trovare un biscotto, una tavoletta o una
qualche barretta che concili il giusto sapore con il corretto numero delle
calorie o dei grassi. L’operazione richiede un certo lasso di tempo e quindi,
inconsapevolmente, si lascia il carrello al proprio destino, tanto si è immersi
nella lettura di etichette stampate con caratteri sempre più piccoli; ed è
proprio in questo frangente che un discreto numero di persone comincia ad
intasare gli angusti corridoi; di chi è
questo carrello? Insomma bisogna
avere un po’ di educazione diamine! E giù epiteti sempre più marcati
finché, scosso dal vocìo sempre più evidente, ci si rende conto di essere la
causa di quel trambusto e allora, scusandosi, ci si allontana da quell’inferno,
salvo poi ritornarci con più calma scegliendo un improbabile agglomerato di
cereali, dalla forma lontanamente rassomigliante ad un frollino, solo perché
influenzato dalla pubblicità della confezione (senza zuccheri aggiunti, senza
uova, solo e soltanto farina integrale, col 35% di grassi in meno ecc.) e dal
poco tempo a disposizione rimasto prima che si crei un altro ingorgo (chissà
perché i corridoi tra gli scaffali dei
supermercati sono sempre così stretti!?)
Finalmente arriva l’estate,
ultima tappa della mini odissea. Il costume da bagno. Cosa indossare? Il
mercato ti offre un’infinità di modelli: sgambatissimi e super mini per lei,
attillatissimi per lui. E’ l’esplosione della sexi-lingerie, del modello
accattivante che evidenzia il fisico scultoreo, dei costumi dai colori
sgargianti.
Entrando in uno dei tanti
negozi specializzati, l’espressione che ci si incolla sul viso, guardando
questi modelli, è un misto tra incredulità ed ebetismo fulminante e la domanda
che ci si pone, vedendoli, è la seguente: come
cazzo faccio ad indossare un cencio del genere?
Il dramma è compiuto, il
colpo finale è la classica richiesta della commessa che aspetta fuori dal
camerino: “come vaaaaa?” Non resta
che rispondere: non mi piace il colore.
Basta! Questa estate vado in
montagna!
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