Ricordate quando non c’erano
i telefonini portatili? Per strada, se si aveva la necessità di chiamare “qualcuno”,
si usavano le cabine telefoniche, altrimenti, si rimaneva a casa o in ufficio o
nello studio dove il telefono, quello con il cavo e la cornetta lunga appena un
metro e mezzo, ti raggiungeva con il suo fastidiosissimo trillo; perché,
all’epoca, (forse qualcuno l’ha dimenticato), “squillo” faceva rima con “fastidio”
oppure con “digli che non ci sono”.
Insomma non esisteva il
complesso del “come farsi raggiungere” ma del “come non farsi rintracciare”.
Sgombro subito il campo dalle
facili conclusioni, io sono per il progresso e la per la tecnologia,
specialmente quella utile al benessere collettivo. Il mio vuole essere soltanto
un piccolo grido d’allarme sul rapporto che si genera tra il progresso e i
nostri modi di vivere il quotidiano. Fino a qualche anno fa, almeno nella
generalità dei casi, la nostra sfera privata era il primo baluardo da
difendere: i nostri amici, interessi, sentimenti erano appannaggio di pochi
intimi, una sorta di “Sacro Graal” da nascondere agli sconosciuti. Oggi che il
progresso ha ridisegnato i telefoni (rimpicciolendoli ed eliminando quel
fastidioso ombelico) il mondo è cambiato e di conseguenza il nostro modus vivendi.
Telefono diventa telefonino,
poi cellulare infine smatphone; le parole sms, mms, app, hashtag, ma anche
cloud, access, hardware, software entrano nel linguaggio comune. Il progresso è
velocissimo e la stessa comunicazione si adatta con nuovi e più semplici
modalità di trasmissioni: “WhatsApp” e “Twitter”, per esempio, mandano quasi in
pensione i messaggini (scusate, volevo dire sms e mms) e la nostra “sfera
privata”, comunemente privacy, svanisce
come neve al sole appena si entra in Facebook o Istagram. E’ persino superfluo
ricorrere alla semantica.
Conseguenza: la nostra vita
non ha più segreti, viviamo ormai circondati da muri di vetro particolarmente
trasparenti dove chi volesse malauguratamente creare uno schermo di protezione,
sarebbe automaticamente additato come un diverso, un potenziale pericolo,
un’opacità da cancellare immediatamente.
E’ evidente che sto
estremizzando ma, permettetemi di manifestare la mia personale perplessità e,
più in generale, di additare il cattivo utilizzo di “talune” innovazioni e la
loro implicazione nel nostro quotidiano. Per esempio, come giustificare il
diritto alla riservatezza quando, per la bramosia di possedere l’ultimo tablet
o smartphone o altro gingillo tecnologico, utilizziamo, consapevolmente, “app” che
presuppongono l’invio di dati che attengono la nostra sfera privata? Come
conciliare le manifestazioni di dissenso e nausea verso quelle notizie che
svelano le manovre occulte di alcuni Stati, che hanno “spiato” (e certamente
ancora “spiano”) personalità e cittadini di altri Stati quando noi stessi siamo
portatori di marchingegni tecnologici ai quali continuiamo ad affidare ogni
sorta d’informazione riguardante la nostra vita e quella di chi ci circonda, magari
con tanto di autoscatto (ops…si dice selfie?!)
Bene, in questo puzzle
tecnologico s’inserisce un nuovo tassello. Amazon, il colosso americano, pone
sul mercato ECHO, una cassa acustica a forma di cilindro (la forma non è stata
scelta a caso dato che riesce a diffondere il suono a 360°) che oltre a farci
ascoltare musica è anche munito di microfoni direzionali (7 per il momento) con
i quali (udite, udite: è proprio il caso di dirlo!) ascolta le nostre richieste
e, collegandosi automaticamente sulla rete, risponde ai nostri input: ricorda
appuntamenti, fornisce le previsioni metereologiche, ci aggiorna sulle notizie
in tempo reale, smista messaggi ai nostri amici, fa da sveglia ecc. ecc., Una
sorta di “piccolo” fratello che esaudisce i nostri desideri.
Insomma lo spirito
dell’invenzione è la risposta a una semplice domanda: perché sedersi di fronte
ad un pc se puoi avere le stesse informazioni con il suono della voce e senza
alcun marchingegno in mano, magari facendo ginnastica o altre cose? I patiti tecnologici dicono che sarà il primo
di una lunga serie di “speaker smart” (sentivamo il bisogno di quest’altro termine), l'elemento che mancava alle famiglie moderne ormai orientate al futuro. L'aspetto che colpisce è che a questo congegno
bisogna rivolgersi chiamandolo “Alexa” (sull’origine del nome femminile onestamente non
ne so tanto, azzardo che dovrebbe avere a che fare con un famigliare o amica
dell’inventore), senza aumentare particolarmente il volume della voce, giacché i
microfoni riescono ad attirare il suono
anche a più di 10 metri. Per il momento Echo sarà venduto ai consumatori
americani a un prezzo di listino di 199 dollari circa, in attesa di un prossimo
lancio sui mercati europei.
Visto l’imminente
arrivo, per qualche appassionato sarebbe bello riceverlo sotto l’albero di
natale, magari “acceso”, così si eviterebbe di scrivere la letterina a Babbo
Natale e poco importa se i desideri dovessero essere ascoltati da tutti. Meno
prosaicamente, in questo caso, la “privacy” potrebbe andarsi a fare benedire…..
a Natale è un bene che “tutti” sappiano i nostri desiderata.
Nessun commento:
Posta un commento