Questo spazio, assolutamente libero da condizionamenti politici o partitici, è stato creato per poter esprimere opinioni, idee e stati d’animo su quello che i media quotidianamente ci propinano.
Sempre a proposito di Referendum, a
tutti quelli che ultimamente si “indignano” sul web, dandomi consigli su cosa
votare, regalo, metaforicamente, uno specchio da usare per guardarsi dentro
prima di esprimere concetti “usa e getta” o adoperare fotomontaggi di personaggi, più o meno antipatici, come vessilli da sventolare a favore di una
parte politica piuttosto che a un’altra.
In tal senso desidero rammentare
a costoro che anch’io odio la “casta”, i cui mali sono ormai arcinoti, ma mi
indigno anche e soprattutto: quando vedo il dirigente bancario che intasca il
premio di produttività dopo aver ingannato il cliente; mi indigno con chi si
spaccia per invalido quando invece non lo è, col medico che rilascia questi
certificati fasulli, con l’impiegato che risulta al lavoro mentre, invece, fa
la spesa al supermercato, con chi evade e se la prende con chi lo sorprende
urlandogli : “perché non ve la prendete con quelli più grandi di me?”; mi
indigno con chi riceve fondi della comunità falsando carte per averli, sottraendoli
a chi ne ha veramente bisogno, con chi accumula ricchezze in maniera illecita e
li esporta all’estero “perché lo Stato è vessatorio”, col sanitario che ti ha in cura e che,
approfittando della tuo stato di salute, “dimentica” di farti la parcella, con
l’imprenditore che licenzia in Italia ed assume all’estero, col dipendente
pubblico che segna ore di straordinario “immaginarie”; mi indigno col
giornalista che denigra l’avversario del proprio editore per far carriera, con
l’artigiano che viene a casa e pretende il “nero” per riparare qualcosa di
necessario “altrimenti dovrei applicare l’iva e il prezzo salirebbe”; mi
indigno con chi va in pensione simulando malattie riconosciute da commissioni
compiacenti; mi indigno con chi intasca tangenti, con chi si propone “bio” e ti
vende cibo che non lo è, con chi costruisce abusivamente, con chi non fa il
proprio dovere, con chi non paga le bollette da anni e si lamenta di dover
pagare gli arretrati, con gli imprenditori che chiudono ad arte i bilanci in
rosso per non pagare le tasse, con chi assume gli amici degli amici; mi indigno
con chi salta la coda entrando dalla porticina posteriore, con chi si gira dall’altra
parte perché tanto non è un problema suo, con chi dice di essere disoccupato e
invece lavora in nero intascando contributi altrimenti necessari a chi ne ha
realmente bisogno, col professionista che entra in politica per aumentare il
proprio portafoglio clienti, con chi fa lo splendido con il SUV intestato
all’impresa, con chi affitta in nero e si lamenta delle tasse.
Infine, mi indigno con chi lo
specchio che ho “donato” lo usa solo per vedere quanto è narciso.
Credo di aver compreso che se voti "NO" indossi una casacca, se voti "SI" ne indossi un'altra.
Comunque vada vieni etichettato e a nulla valgono le tue considerazioni. O sei bianco o sei nero. Scegli!!!
La verità è che provo un senso di disgusto, dopo aver partecipato nel 2013 alla farsa delle politiche (dove ancora non ho capito chi ho eletto) nel dover prendere parte ad un'ulteriore farsa dove tutti i partiti, i partitini e movimenti vari mi chiedono di confermare o meno un papocchio costituzionale, alla cui genesi tutti hanno preso parte, salvo poi dividersi per convenienze politiche, lasciando la soluzione dell'arcano all'elettorato, al quale addossare la responsabilità finale col metodo fazioso della casacca.
Ormai la politica, questa politica, è fatta da tifosi, ognuno col proprio vessillo, pronti a prendere ordini dall'alto e a portarli avanti, a prescindere dalle considerazioni dettate dalla propria coscienza.
"Partecipazione", "ascolto", "discernimento" e "scelta", in questo rigoroso ordine dovrebbero essere i cardini della società civile. A me, semplice elettore, pare sia rimasta soltanto la "scelta"....di una casacca! Forza alè alè.
Ventisette anni fa, era il 9 settembre 1989, a Berlino si abbatteva un muro che provocato una ferita sanguinante e diviso il popolo tedesco. Oggi, nella periferia elegante di Monaco di Baviera, nel sobborgo di Neuperlach, se ne erige un altro, persino più alto di quello di Berlino, che servirà a delimitare un fabbricato dedicato all'accoglienza di giovani immigrati. Avrei preferito che il popolo tedesco, lo stesso che aveva provato una gioia immensa nell'abbattere, ventisette anni fa, quei blocchi di cemento, non li avesse fatti entrare proprio quei giovani immigrati, piuttosto che relegarli in un spazio circondato da un muro. Al di la delle problematiche inerenti i flussi migratori e di tutte le connesse difficoltà, che in questa sede non sono oggetto di discussione, non mi fa piacere leggere queste notizie, in special modo se provenienti da parte dello stesso popolo che del muro ne ha fatto un simbolo di pace.
Sfogliando i due maggiori quotidiani della Sardegna, sono rimasto
colpito da due articoli. In uno si parla dell’inaugurazione di un salone dedicato
all’innovazione HI-TECH in Sardegna: “SINNOVA 2016”, ove, tra l’altro, si magnifica la scelta della Sardegna come
polo attrattivo di investimenti da parte delle multinazionali del settore,
sulla base di determinati parametri, quali la qualità della vita e il grande
capitale umano disponibile; nell’altro,
si parla della grande fuga dei sardi, specialmente giovani, verso altri paesi
europei, per mancanza di prospettive lavorative.
D’acchito si è portati a pensare ad una certa discrasia tra le due
notizie, l’una smentisce l’altra; approfondendo, però, ci si accorge che una certa
coerenza esiste. In una si parla di investimenti per la costituzione di poli
produttivi di innovazioni tecnologiche e, quindi, di potenziali prospettive
lavorative per coloro che possiedono una preparazione scientifica,
dall’altra si parla di fuga generalizzata
di giovani, soprattutto neo laureati (con indirizzi diversi ma riconducibili
nell’alveo umanistico) magari con qualche master e con qualche anno di
precariato sulle spalle, ma tutti rassegnati a sperare in un futuro all’estero,
viste le scarse attrattive che questa terra offre.
Sono passati tanti anni e siamo ancora qui a discutere sulle
giuste scelte dei percorsi formativi da intraprendere per entrare nel mondo del
lavoro. Serviranno gli indirizzi
scientifici o quelli umanistici? Giusto
per dare una risposta propenderei per un equo mix, d’altronde come può esserci scienza senza la creatività.
Il problema, però, non è questo ma cosa la scuola, nella sua
accezione più ampia, può offrire? Quale
bagaglio culturale, qualitativamente parlando, è capace di proporre? Che
capacità possiede per assistere gli studenti nei vari percorsi intrapresi? Cosa
offre ai suoi insegnanti per spronarli a progredire nel loro lavoro e di
conseguenza a stimolare l’apprendimento ai propri studenti?
Attualmente, dopo svariate riforme e controriforme, dopo estenuanti
ricette sfornate negli anni dai vari governi,
dopo i continui tagli all’istruzione in nome di una spending-review
piovuta da effimeri obblighi imposti da una oligarchia tecnocratica al servizio
delle banche, la scuola ha ancora la potenzialità di sfornare cultura e
sicurezza del domani ai suoi studenti?
Non voglio girarci intorno ma, parliamoci chiaro,"spesso" i migliori studenti
italiani non sono il frutto di un percorso scolastico ben studiato e
pianificato, ma occasionali esempi di persone cui madre natura ha regalato una
capacità cognitiva ben al di sopra della media (è un dono legato al loro DNA).
E così, come esistono studenti modelli esistono anche insegnanti modello. Il
problema è che queste eccellenze sono troppo poche rispetto alle reali
necessità cheuna nazione come la
nostra dovrebbe avere per competere in questo mondo.
In questa nostra Italia un giovane laureato non è attratto dalla
carriera di insegnante (se proprio non c'è portato) ma partecipa al concorso
perché è l'occasione per avere un lavoro "sicuro" piuttosto che una
vita professionale incerta e allora, se riesce, preferisce fare il professore
di matematica o di ragioneria o di italiano in una scuola media secondaria
piuttosto che l'ingegnere o il commercialista o l’avvocato (dico tanto per dire
alcune professioni) per i cui titoli di laurea ha sacrificato uno spicchio
consistente della propria vita. Il neo insegnante parte quindi dalla
convinzione che non era questo il futuro
che immaginava e allora, quando viene a mancare la giusta motivazione, ne
risente la sua resa. Magari è veramente preparato nella sua materia, ma non
sempre la bravura fa rima con insegnamento (che è altra cosa). Si parte
pertanto con il piede sbagliato, manca la passione per il proprio mestiere e si
tira avanti con questo appiattimento mentale che si riflette, inevitabilmente,
sul suo operato influenzando, quindi, la crescita culturale dei suoi studenti
che si ritroveranno, di conseguenza, a dover affrontare il loro percorso con un
bagaglio culturale fornito in maniera piatta e asettica.
Ed è qui che subentra il DNA di ciascun studente (i pochi, quelli
baciati da madre natura, responsabilmente, curano la loro preparazione pensando
al domani e cercano di arricchire e approfondire ciò che la scuola offre, i
tanti affrontano il cammino quasi con rassegnazione pensando che la loro è
soltanto una parentesi della vita che "devono" obbligatoriamente
subire). È un circolo vizioso e allora cresce il desiderio di
"fuggire" da questa nazione nella speranza di trovare all'estero
quello che questo Paese non è in grado di dare: la speranza di un futuro.
Se desideriamo cambiare questo stato di cose, partiamo allora
dalle fondamenta, la cultura non si inventa a colpi di riforme e
spending-review ma la si raggiunge per gradi, con strumenti adeguati. La scuola
è il motore di un Paese ed è su di essa che devono concentrarsi gli sforzi.
Riappropriamoci delle nostre radici, del nostro glorioso passato ricco di
personaggi che hanno fatto la storia stessa del mondo umanistico e scientifico,
partiamo da lì, e allora: si riconsideri il ruolo degli insegnanti, si diano
loro i mezzi, non solo economici, per poter operare con tutta tranquillità, si crei
per i nostri studenti un terreno fecondo di interessi per stimolare il loro
impegno, si avvicini la scuola direttamente al mondo che opera, si stipulino
convenzioni con i vari soggetti del mondo lavorativo, si facilitino forme di tirocini presso le varie aziende o istituzioni,
pubbliche e private già dalle medie superiori, si potenzi l’apprendimento delle
lingue con stage all’estero e, viceversa, già dalle scuole elementari, si
mettano tutte le famiglie, non solo quelle agiate, nella condizione di poter
sopportare economicamente il peso di questo lungo cammino
formativo e allora si che potremo sperare in una società generosa e attenta che
non lascia partire più i propri figli ma li coccola e li mette in condizione di
poter scegliere, liberamente e senza paura di sbagliare, il proprio futuro.
Una nuova parola è entrata a
far parte del nostro linguaggio comune: DRONE. Alcuni lo definiscono uno strumento di lavoro, altri un giocattolo, talaltri
un gioiello tecnologico, neanche io so esattamente quale sostantivo usare per
definirlo, forse è un po’ di tutto
questo. Se proprio vogliamo affibbiargli una definizione possiamo dire che è un velivolo mosso da eliche, pilotato tramite
un radiocomando e che la sua diffusione è stata così repentina da renderlo un
fenomeno di costume, così come lo smartphone o il tablet.
Parliamoci chiaro, nessuno,
fino a qualche anno fa, avrebbe mai immaginato di poter filmare o fotografare un
posto, un soggetto, un monumento da angolazioni particolari ma, soprattutto, aeree,
eppure, oggi, con una spesa relativamente bassa, ci si può permettere di volare
o, almeno, di avere la sensazione di farlo.
Volare radente al mare,
innalzarsi sulla cima di una collina, sorvolare un lago, superare i vertiginosi
dislivelli di scogliere rocciose,
cavalcare una cascata, quante volte abbiamo sognato di farlo? Eppure è una
realtà; basta recarsi in un negozio specializzato in modellismo o presso le
grandi catene di distribuzione di elettronica per rendersi conto della varietà
di modelli esistenti in commercio.
Dal giocattolino che sta sul
palmo di una mano a quelli un po’ più grandi, da quelli muniti di telecamere sempre più sofisticate,
capaci di scattare foto o filmare da altezze superiori ai 100 mt, a quelli
capaci di percorrere distanze di alcuni chilometri a velocità superiori a 70 km/h,
a quelli di ultimissima generazione che,
opportunamente piegati, riescono a stare in una borsetta e possono essere
portati ovunque.
Attenzione però, i lati
deboli di questi gioielli tecnologici sono proprio le loro peculiarità, i droni
possono, potenzialmente, risultare pericolosi sia in volo, nei confronti degli
altri velivoli, che in caso di caduta accidentale, nei confronti delle persone
e delle cose sottostanti. E’ per questo che l’E.N.A.C. (Ente Nazionale
Aviazione Civile), già dal 2014, ha inteso regolamentarne l’uso attraverso
l’emanazione di un apposito testo “Regole dell’aria Italia” giunto, per il
momento, alla seconda edizione, che disciplina e detta le regole da osservare a
seconda dell’uso che se ne fa e dei luoghi che si intende sorvolare.
Pertanto se è normale
acquistarli è altrettanto facile cadere nell’errore di usarli in maniera
scorretta, correndo magari il rischio, in alcuni casi, di
violare comportamenti, all’apparenza normali, ma che si rilevano contrari ai regolamenti e passibili,
in alcuni casi , di sanzioni anche di
natura penale.
Non è certo questa la sede
per elencare analiticamente le regole da osservare, per questo basta scaricare
dal sito dell’ENAC il regolamento in questione, quello che però è necessario
sapere, prima dell’acquisto, è che, a
seconda del peso e del suo utilizzo (ludico o professionale), il drone può
essere considerato un aeromodello, e come tale soggetto a poche regole, oppure
un S.A.P.R. (Sistema Aeromobile a Pilotaggio Remoto) in tal caso obbligato ad
una serie di restrizioni e regole da seguire meticolosamente, oltreché essere
in possesso di uno speciale brevetto per pilotarlo.
Partendo dal presupposto che
il drone è utilizzato per puro svago, i concetti fondamentali che occorre
sapere è che non si può volare ad un
altezza superiore ai 70 mt, non si possono sorvolare i centri abitati, o sopra gli
assembramenti di persone, che è vietatissimo volare in prossimità di aeroporti
e che, seppur al momento non obbligatoria, sarebbe opportuno stipulare
un’assicurazione per i danni che si potrebbero cagionare a persone o cose
altrui. Detto questo ci si può cimentare a volare con relativa sicurezza.
Ma cosa succederebbe se una
persona desiderasse frequentare un apposito corso per approfondire la tematica
della sicurezza in volo o volesse volare in maniera professionale? La risposta sembrerebbe banale: basterebbe
frequentare una scuola di volo appositamente autorizzata dall’E.N.A.C. (unica a
rilasciare i vari tipi di brevetto).
Eppure il problema sussiste
perché non tutto il territorio nazionale è coperto da queste scuole e quelle,
pochissime, esistenti, tra assicurazioni e vari gradi di livello dei brevetti
pretendono costi non accessibili a tutte le tasche e allora si crea il problema.
Come si possono osservare le
regole quando non c’è nessuno che possa insegnartele? E, nei casi in cui hai la
fortuna di avere a disposizione una scuola, come si fa ad erudire la ormai notevole platea dei potenziali
discenti senza pesi economici eccessivi? Come si fa a pretendere di osservare norme
e disposizioni se non c’è nessuna limitazione al loro acquisto? Come si fa a
sanzionare eventuali comportamenti scorretti se nessuno avverte dell’esistenza
di regole il papà che vuole regalare al
proprio figlio questo “giocattolo”? Non è certamente il tam tam degli appassionati o la gente come me che
hanno titolo ad educare e disciplinare coloro che usano i droni.
Finora il volo è “quasi”
libero ma attenzione, prima di fare le regole, è necessario assicurarsi che
queste vengano conosciute e recepite altrimenti risulta difficile spiegare una
possibile sanzione.
Per il momento godiamoci le sensazioni che il drone riesce
a regalarci guardando un video tratto dal canale “Ge Ge” riguardante il
castello di Acquafredda nei pressi di Siliqua in Sardegna e attendiamo
fiduciosi gli eventi. 7
In questi giorni si stanno discutendo, in Commissione
Bilancio di Camera e Senato, i decreti attuativi della riforma che dovrebbe
modificare la Pubblica Amministrazione.
Al loro interno il Governo ha inserito un provvedimento che
disciplina l’azione di responsabilità per danni erariali; ossia chi deve
perseguire quei soggetti che hanno arrecato danno allo Stato attraverso lo
sperpero di soldi pubblici e, di conseguenza, avviare l’azione di recupero del
mal tolto.
Si parla in questo caso delle cosiddette società “in house”, ossia quelle società di
servizi il cui capitale è partecipato, interamente o quasi, dalle Regioni, dai Comuni o dalle ex (?)
Province, i cui amministratori sono, spesso se non sempre, emanazioni politiche
dei partiti che governano gli stessi Enti.
Ad oggi la funzione giurisdizionale e di controllo per tali
illeciti è affidata alla Corte dei Conti composta da giudici contabili,
altamente specializzati, la cui azione,
proprio in virtù delle loro qualifiche, è caratterizzata da una maggiore
celerità rispetto ai colleghi appartenenti alla magistratura ordinaria.
Per fare dei numeri, solo nel 2015 i
magistrati contabili hanno emesso atti di citazione in materia di partecipate
pari a 185 milioni di euro.
Orbene, sembra che questi provvedimenti ridurrebbero il
raggio d’azione della Corte dei Conti proprio nei confronti di tali società.
In sostanza gli amministratori delle società partecipate, o loro
successori, risponderebbero di danno erariale soltanto alla magistratura
ordinaria e non a quella contabile, con inevitabili lungaggini temporali ad alto
rischio prescrizione.
Rimarrebbero sotto giurisdizione della Corte dei Conti
soltanto i danni subiti “direttamente” dall’Ente controllante (Regione e Comuni).
Il Governo, che già qualche mese prima aveva tentato di
introdurre questa novità salvo poi fare marcia indietro viste le perplessità sollevate
della stessa Corte, giustifica la sua
scelta rifacendosi ad un parere del Consiglio di Stato in merito ad una
sentenza della Corte di Cassazione che riconosce la giurisdizione della
magistratura contabile: nei soli casi in cui un Ente pubblico abbia subito un ‘danno diretto’ al proprio patrimonio
e non un ‘danno indiretto’, subìto in conseguenza alla propria partecipazione al
capitale della società “in house”.
Tale danno sarebbe infatti “ …‘assorbito’
dall’azione di responsabilità civile promossa nei
confronti degli organi di amministrazione e di controllo innanzi al giudice
civile”.
Il colmo!! L’azione di responsabilità per danni causati alle
società partecipate – i cosiddetti danni “diretti”- dovrà essere avviata dagli
stessi vertici della società.
Ve li immaginate gli amministratori
che hanno sperperato il denaro pubblico che si autodenunciano?
In tutto questo la Corte dei Conti
avrebbe le mani legate.
Se tutto ciò si avverasse sarebbe
un colpo molto grave alla credibilità di questo Stato che fa del cambiamento, della lotta all’evasione e della corruzione
dei baluardi da cui non si può prescindere.
Aldilà delle colorazioni politiche
sarebbe auspicabile, da parte della classe dirigente, un moto d’orgoglio e ritornare sui propri
passi, magari rafforzando ancor di più il peso giurisdizionale della
Magistratura contabile piuttosto che indebolirla, quantomeno per far tacere quella
parte di italiani che vede in questo provvedimento il solito escamotage creato ad
hoc per coprire gli amici degli amici.
Schiavismo cibernetico
o dipendenza mediatica? Come definire il senso del nostro vivere quotidiano
ormai votato, solo ed esclusivamente, a far sapere a terzi (perfetti sconosciuti
o no) ciò che si pensa, che si desidera, che si fa o che non si fa o che si ha
intenzione di fare?
La società del terzo millennio è un perfetto agglomerato di
azioni, gesti e pensieri ai quali diamo voce e risonanza al solo scopo di
condividerli con tutti.
E nulla è lasciato
al caso. In un contesto di globalizzazione esasperata non c’è crisi economica
che tenga, la tendenza irrefrenabile all’acquisto dell’ultimo modello di smartphone,
PC o Smart TV non conosce ostacoli, così
come la nascita dei grandi magazzini di
elettronica, secondi solo ai funghi, che
vengono incontro ai nostri gradimenti tecnologici, frantumando le nostre deboli
ritrosie di risparmiatori con finanziamenti alla portata di tutti (il tasso zero
non è più un animaletto sconosciuto).
Tutto è funzionale
alla grande platea di noi internauti,
appassionati di facebook, instagram, messenger,
telegram, whatsapp, twitter, skype e chi più ne ha più ne metta, ai quali
affidiamo, senza ritegno, la nostra intimità.
Tratto da un cortometraggio creato dallo studente cinese Xie Chenglin, – vincitore del premio 2014 alla Central Academy of Fine Arts
E il risultato
qual’è? Proviamo a guardarci attorno. La maggior parte di noi
cadenza la propria quotidianità con la testa china sul proprio smartphone o tablet; la coperta di Linus dei nostri tempi. Sulla
metropolitana, in autobus, alla stazione, al bar, in aeroporto piuttosto che
alla stazione o sul luogo di lavoro, la figura che digita o che visiona lo
schermo del proprio cellulare o che fotografa
è ormai familiare. Quanto tempo della nostra giornata passiamo su questi
gingilli tecnologici a controllare se è arrivato un nuovo messaggio?
Anche il nostro
linguaggio è assuefatto a questa prigionia tecnologica: ho wahtsappato un’immagine, te la mando in pdf o preferisci in jpg?
ti ho twittato la risposta, cambia browser, posta le tue idee può darsi che vengano taggate, ma ti sei loggato? dai facciamoci un selfie !?
Confesso di
appartenere ad una generazione quasi “obsoleta” - quella degli anni sessanta per
capirci - e fatico un po’ a districarmi
in questa giungla di piattaforme digitali, di byte
e wi-fi, ma resto dell’idea che non sarebbe una
cattiva idea quella di fermarci un attimo e riflettere sui nostri atteggiamenti.
Va bene la
globalizzazione, la facilità di comunicazione, il coinvolgimento emotivo di una
foto o di un pensiero, ma non vi sorge il sospetto che tutto questo possa
essere “carpito” subdolamente da “qualcuno” per avere il totale controllo della
nostra vita?
Dite che sono troppo
catastrofico? Forse. Ma un pò di sana
riflessione sui nostri comportamenti (anche i miei visto che non sono immune da
questa dipendenza) non guasterebbe, magari solo per esorcizzare il pericolo di quella
società globalizzata e sotto totale controllo di un “ Grande Fratello” di
Orwelliana memoria.
Dopo 1 anno e 7 mesi, giorno più
giorno meno, e dopo varie letture e commenti sui vari blog e sulla stampa, a
dire il vero un po’ fiacca nel trattare l’argomento, rieccomi qui ad annunciare, questa volta in modo definitivo, la notizia
che stavo aspettando: l’abolizione dell’odioso bollino semaforico colorato sui prodotti alimentari Made in Italy e il loro ritorno
sulle tavole britanniche e di alcuni Paesi del Nord- Europa senza “barriere”
pseudo scientifiche (più pseudo che scientifiche) che di fatto avevano isolato
le nostre eccellenze culinarie con perdite percentuali a due cifre per i nostri
produttori.
Per me era diventato un obbligo
morale seguire e, nel mio piccolo, osteggiare questa “antipatica” misura creata ad arte da
“alcuni Paesi” per meri calcoli affaristici più che per motivi salutistici.
Come avevo sostenuto nel post pubblicato nel settembre 2014 http://parsifran.blogspot.it/2014/09/basta-con-le-etichette-british-tavola.html
che faceva il paio con quello pubblicato nel dicembre 2013 http://www.parsifran.blogspot.it/2013/12/bollino-tavola-molto-british.html,
in piena autonomia legislativa, l’Olanda, la Scandinavia e il Regno Unito,
avevano imposto alle industrie alimentari e della distribuzione, operanti sul
proprio territorio, di etichettare i cibi con appositi bollini colorati così da
permettere al consumatore, in un batter d’occhio, di identificare cibi “cattivi”
- rossi -, contenenti zucchero, sale o grassi da quelli “buoni” - verdi -.
Questa prassi, a dir poco
semplicistica, fuorviava le scelte dei cittadini in quanto indicava loro la sola
presenza di elementi pericolosi per la salute in un determinato alimento senza
considerarne l’aspetto dietetico (apporto calorico in rapporto alla quantità consumata)
ponendo, di fatto, i nostri prodotti al bando dalle loro tavole.
Chi mai avrebbe comprato prodotti come
il Prosciutto San Daniele, la Mortadella Bologna, l’olio extravergine d’oliva o
la boccetta di aceto balsamico di Modena, rigorosamente marchiati con bollino
rosso perché contenenti “anche” grassi, sale o zuccheri?
E così si arrivava al paradosso di
vedere sugli scaffali del supermercato il bollino verde applicato, ad esempio,
a bevande gassate “light” di industrie appartenenti a grosse multinazionali.
Finalmente, con 402 voti a favore,
285 contrari e 22 astenuti, il Parlamento Europeo non solo ha bocciato questo
sgangherato sistema di etichettatura, creato ad arte dai lungimiranti esperti
britannici, ma ha anche chiesto alla Commissione UE di esaminare il fondamento
scientifico alla base di questa decisione.
Uno smacco.
In un periodo così buio per l’esistenza stessa dell’idea
di “Unione” europea, buttar giù questa piccola “barriera” è un buon segno.
lunedì 11 aprile 2016
Qualche tempo fa ho letto un racconto
pubblicato sul sito rivelazioni.com dal titolo: Racconto di un marito.
L’ho trovato esilarante. Oggi, facendo ordine nei miei
appunti, me lo sono ritrovato davanti e nonostante ne conoscessi la fine ho
riso di gusto. Per chi non lo avesse ancora letto lo pubblico volentieri magari
riesco a strappargli un sorriso.
Racconto di un marito
Non ho mai capito perché le necessità sessuali degli
uomini e delle donne sono così differenti fra loro… e non ho mai capito perché
gli uomini pensano con la testa mentre le donne con il cuore. Però una notte
mia moglie ed io siamo andati a letto. Abbiamo cominciato ad accarezzarci, massaggiarci,
bacini etc, etc.
La questione è che io ero già pronto, ma proprio in quel
momento lei mi dice: 'Adesso non ne ho voglia, amore mio. Voglio solo che mi
abbracci' Ed io esclamo: 'CHEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE????????????????'
Al che mi dice le parole magiche di tutte le donne: 'Non
sai connetterti con le mie necessità emotive di donna'.
Il punto finale è che quella sera non ci sarebbe stata
nessuna lotta. Ho messo a posto gli oli afrodisiaci, ho spento le candele, ho
tolto il disco di Baglioni (in quei momenti funziona quasi sempre) ho spento lo
stereo ed ho rimesso in frigo lo champagne. Sono andato a farmi una doccia
fredda per vedere se potevo calmare 'la bestia' e mi sono messo a guardare
Discovery Channel a tutto volume per non fare dormire la figlia di mia
suocera...Dopo un pò mi sono addormentato.
Il giorno dopo siamo andati al centro commerciale e mi
sono messo a guardare orologi mentre lei si provava tre modelli carissimi di
Armani. Come tutte le donne non sapeva decidersi, così le ho detto di prenderli
tutti e tre.
A questo punto mi ha detto che le sarebbero servite delle
scarpe nuove da mettere con i nuovi vestiti... 350 euro al paio... Le ho detto
che andava bene.
Di lì siamo andati nella sezione casual dalla quale ha
preso un piumino ed una borsa di Louis Vuitton. Era così emozionata! Credo
pensasse che fossi diventato pazzo, ma ad ogni modo le ha prese lo stesso. Mi
ha messo, quindi, alla prova chiedendomi un gonnellino corto da tennis. Non sa
neanche correre, figuriamoci giocare a Tennis.
E' rimasta scioccata quando le ho detto di comprare tutto
ciò che voleva. Era così eccitata sessualmente dopo tutto questo, ed ha
cominciato a chiamarmi con tutti i nomignoli più affettuosi e stupidi che le
donne usano. 'Cucciolone mio'; 'Topolino amoroso' e così via.
Siamo andati alla cassa a pagare.
E' stato qui che, essendoci solo una persona prima di
noi, le ho detto: 'No amore mio, credo che in questo momento non ho voglia di
comprare tutto questo'...
Se aveste potuto vederle la faccia… diventò pallida
quando le ho detto: 'Voglio solo che mi abbracci'.
Sembrò quasi che stesse per svenire, le si è paralizzata
la parte sinistra del corpo, le è venuto un tic nervoso all'occhio.
A questo punto le ho detto: 'Non sai connetterti con le
mie necessità finanziarie di uomo'.