Se qualche mese fa il conduttore di uno dei tanti quiz
televisivi, in auge in questo
periodo, avesse chiesto a qualche
concorrente chi è Anna Soubry, tutti, (ad esclusione ovviamente degli addetti
ai lavori) avrebbero avuto difficoltà a rispondere: il Ministro della Salute
inglese.
Oggi, “quasi tutti”, non soltanto sanno chi è… ma
anche cosa fa. Merito dei quiz? Macchè!!
Merito delle sue intenzioni, a suo dire, “utili a salvaguardare la
salute dei sudditi inglesi”. Mi riferisco all’ormai famosa introduzione del
bollino “semaforico” da applicare agli alimenti in vendita in Inghilterra.
In pratica la Ministra ha “invitato” tutti i
supermercati e le società che si occupano della grande distribuzione, operanti
in territorio inglese, ad utilizzare bollini con tre diversi colori (rosso,
giallo e verde) per indicare l’eventuale pericolosità nutrizionale dei prodotti
alimentari in vendita e dar modo ai consumatori di controllare, con estrema immediatezza,
ciò che stanno comprando. Il rosso indica un pericolo, il giallo un medio
pericolo il verde è sinonimo di bontà.
L’iniziativa ha già ricevuto il sostegno di numerosi supermercati
e produttori, che inizialmente si erano opposti all'iniziativa. Mars, Nestlè e altri grandi marchi avrebbero
già firmato gli accordi con le più importanti catene di supermercati del Regno
Unito.
L’idea nasce dall’esigenza di dare un valido
contributo alla lotta contro l'obesità, un problema molto sentito nel Regno
Unito dove il tasso
di obesità è arrivato ad un punto tale da spingere uno dei più famosi quotidiani,
il “Telegraph”, a considerare la Gran
Bretagna come lo “Stato ciccione d'Europa”.
Per carità, il proposito è meritevole, anche se,
impostato così com’è, lascia un po’ dubbiosi, soprattutto perché rischia di lèdere
gli interessi economici di altri Stati UE (vedi Italia), grossi esportatori di
eccellenze alimentari, già alle prese con enormi problemi finanziari ed
economici.
Il problema nasce dal metodo, alquanto semplicistico e
fuorviante, utilizzato dagli operatori per indicare la pericolosità del
prodotto.
In sostanza il bollino è rappresentato da una serie di
rettangolini o da un cerchio suddiviso in spicchi, evidenziati con i tre colori
del semaforo nei quali sono indicate le quantità in grammi degli
elementi potenzialmente nocivi alla salute (sale, zuccheri, grassi ecc.) presenti nel prodotto; quindi rosso per
le quantità elevate, giallo per quelle medie e verde per quelle considerate nella
norma. La somma di questi elementi determina il risultato finale, rappresentato
con un simbolo (di solito un cerchietto o un segno di spunta) tinteggiato con il
colore predominate.
Qualcuno dice che è un metodo molto efficace e
intuitivo perché educa il consumatore ad acquistare con attenzione gli
alimenti. Vero, ma in parte. Schedare gli alimenti in base al loro contenuto di
grassi o zuccheri permette al consumatore di avere un’informazione parziale perché non tiene conto della dieta complessiva;
in sostanza classificare il parmigiano o il grana, il prosciutto o la
mozzarella, la pizza o la frutta secca come fonti di grasso nocive alla salute ritrae
un erronea rappresentazione se non la si inquadra in un disegno più ampio.
E’ ormai assodato, mi sembra anche dagli inglesi, (maestri
incomparabili negli studi sull’utile e sul futile), che una buona dieta
alimentare non deve eliminare i cibi ma dosarli in modo ottimale; una
grattugiata di formaggio grana o parmigiano su 60/70 g di spaghetti conditi con
un filo d’olio extravergine e due pomodorini saltati con mezzo spicchio d’aglio
non mi sembra una bomba calorica, specialmente se accompagnata da una
normalissima passeggiata.
Schedarli in maniera asettica e semplicistica, così
come proposto dal modello britannico, significa solo catalogare i cibi in
“buoni” e “cattivi” e questo fornisce il là a più di una critica ed a molti
dubbi sul reale proposito messo in atto dagli inglesi. Sarà per caso una
manovra di marketing ben congeniata a scapito delle eccellenze alimentari di
altri paesi o è piuttosto un buon proposito messo in atto da un manipolo di
inesperti?
A mio parere, ma non solo, non esistono cibi “buoni” e
cibi “cattivi” ma regimi alimentari buoni e cattivi, dove i due aggettivi
pendono dall’una o dall’altra parte a seconda di come vengono
integrati tra loro ed in che quantità.
Se lo scopo principale di questa idea è quello di
combattere l'obesità e le patologie ad esso associate, con conseguente
alleggerimento dei costi che gravano sul sistema sanitario nazionale inglese, (così
come auspica la ministra), sarebbe opportuno, non dico eliminarla tout court, ma, quantomeno, renderla funzionale
all’interno di un disegno più vasto che comprenda più progetti e coinvolga
soprattutto i bambini (consumatori del domani).
Non sarebbe male, ad esempio, introdurre nelle scuole
dell’obbligo materie tese ad educare verso stili di vita salutari e corrette
conoscenze alimentari, ne gioverebbero tutti, gli Stati Europei (tra cui la
nostra Italia) che otterrebbero di vendere i propri prodotti senza
semplicistiche schedature e soprattutto i sudditi reali (che riuscirebbero a
capire che quando si ha sete non è indispensabile bere un litro d’olio
extravergine, o quando si ha fame non bisogna necessariamente mangiare mezzo
kilo di Parmigiano o Grana, o prendere a morsi un cosciotto di Prosciutto
crudo).
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