mercoledì 12 novembre 2014

L’orecchio di Amazon

Ricordate quando non c’erano i telefonini portatili? Per strada, se si aveva la necessità di chiamare “qualcuno”, si usavano le cabine telefoniche, altrimenti, si rimaneva a casa o in ufficio o nello studio dove il telefono, quello con il cavo e la cornetta lunga appena un metro e mezzo, ti raggiungeva con il suo fastidiosissimo trillo; perché, all’epoca, (forse qualcuno l’ha dimenticato), “squillo” faceva rima con “fastidio” oppure con “digli che non ci sono”.
Insomma non esisteva il complesso del “come farsi raggiungere” ma del “come non farsi rintracciare”.
Sgombro subito il campo dalle facili conclusioni, io sono per il progresso e la per la tecnologia, specialmente quella utile al benessere collettivo. Il mio vuole essere soltanto un piccolo grido d’allarme sul rapporto che si genera tra il progresso e i nostri modi di vivere il quotidiano. Fino a qualche anno fa, almeno nella generalità dei casi, la nostra sfera privata era il primo baluardo da difendere: i nostri amici, interessi, sentimenti erano appannaggio di pochi intimi, una sorta di “Sacro Graal” da nascondere agli sconosciuti. Oggi che il progresso ha ridisegnato i telefoni (rimpicciolendoli ed eliminando quel fastidioso ombelico) il mondo è cambiato e di conseguenza il nostro modus  vivendi.
Telefono diventa telefonino, poi cellulare infine smatphone; le parole sms, mms, app, hashtag, ma anche cloud, access, hardware, software  entrano nel linguaggio comune. Il progresso è velocissimo e la stessa comunicazione si adatta con nuovi e più semplici modalità di trasmissioni: “WhatsApp” e “Twitter”, per esempio, mandano quasi in pensione i messaggini (scusate, volevo dire sms e mms) e la nostra “sfera privata”, comunemente privacy,  svanisce come neve al sole appena si entra in Facebook o Istagram. E’ persino superfluo ricorrere alla semantica.
Conseguenza: la nostra vita non ha più segreti, viviamo ormai circondati da muri di vetro particolarmente trasparenti dove chi volesse malauguratamente creare uno schermo di protezione, sarebbe automaticamente additato come un diverso, un potenziale pericolo, un’opacità da cancellare immediatamente.
E’ evidente che sto estremizzando ma, permettetemi di manifestare la mia personale perplessità e, più in generale, di additare il cattivo utilizzo di “talune” innovazioni e la loro implicazione nel nostro quotidiano. Per esempio, come giustificare il diritto alla riservatezza quando, per la bramosia di possedere l’ultimo tablet o smartphone o altro gingillo tecnologico, utilizziamo, consapevolmente, “app” che presuppongono l’invio di dati che attengono la nostra sfera privata? Come conciliare le manifestazioni di dissenso e nausea verso quelle notizie che svelano le manovre occulte di alcuni Stati, che hanno “spiato” (e certamente ancora “spiano”) personalità e cittadini di altri Stati quando noi stessi siamo portatori di marchingegni tecnologici ai quali continuiamo ad affidare ogni sorta d’informazione riguardante la nostra vita e quella di chi ci circonda, magari con tanto di autoscatto (ops…si dice selfie?!)

Bene, in questo puzzle tecnologico s’inserisce un nuovo tassello. Amazon, il colosso americano, pone sul mercato ECHO, una cassa acustica a forma di cilindro (la forma non è stata scelta a caso dato che riesce a diffondere il suono a 360°) che oltre a farci ascoltare musica è anche munito di microfoni direzionali (7 per il momento) con i quali (udite, udite: è proprio il caso di dirlo!) ascolta le nostre richieste e, collegandosi automaticamente sulla rete, risponde ai nostri input: ricorda appuntamenti, fornisce le previsioni metereologiche, ci aggiorna sulle notizie in tempo reale, smista messaggi ai nostri amici, fa da sveglia ecc. ecc., Una sorta di “piccolo” fratello che esaudisce i nostri desideri.

Insomma lo spirito dell’invenzione è la risposta a una semplice domanda: perché sedersi di fronte ad un pc se puoi avere le stesse informazioni con il suono della voce e senza alcun marchingegno in mano, magari facendo ginnastica o altre cose?  I patiti tecnologici dicono che sarà il primo di una lunga serie di “speaker smart” (sentivamo il bisogno di quest’altro termine), l'elemento che mancava alle famiglie moderne ormai orientate al futuro.  L'aspetto che colpisce è che a questo congegno bisogna rivolgersi chiamandolo “Alexa” (sull’origine del nome femminile onestamente non ne so tanto, azzardo che dovrebbe avere a che fare con un famigliare o amica dell’inventore), senza aumentare particolarmente il volume della voce, giacché i microfoni  riescono ad attirare il suono anche a più di 10 metri. Per il momento Echo sarà venduto ai consumatori americani a un prezzo di listino di 199 dollari circa, in attesa di un prossimo lancio sui mercati europei.
Visto l’imminente arrivo, per qualche appassionato sarebbe bello riceverlo sotto l’albero di natale, magari “acceso”, così si eviterebbe di scrivere la letterina a Babbo Natale e poco importa se i desideri dovessero essere ascoltati da tutti. Meno prosaicamente, in questo caso, la “privacy” potrebbe andarsi a fare benedire….. a Natale è un bene che “tutti” sappiano i nostri desiderata.