mercoledì 12 novembre 2014

L’orecchio di Amazon

Ricordate quando non c’erano i telefonini portatili? Per strada, se si aveva la necessità di chiamare “qualcuno”, si usavano le cabine telefoniche, altrimenti, si rimaneva a casa o in ufficio o nello studio dove il telefono, quello con il cavo e la cornetta lunga appena un metro e mezzo, ti raggiungeva con il suo fastidiosissimo trillo; perché, all’epoca, (forse qualcuno l’ha dimenticato), “squillo” faceva rima con “fastidio” oppure con “digli che non ci sono”.
Insomma non esisteva il complesso del “come farsi raggiungere” ma del “come non farsi rintracciare”.
Sgombro subito il campo dalle facili conclusioni, io sono per il progresso e la per la tecnologia, specialmente quella utile al benessere collettivo. Il mio vuole essere soltanto un piccolo grido d’allarme sul rapporto che si genera tra il progresso e i nostri modi di vivere il quotidiano. Fino a qualche anno fa, almeno nella generalità dei casi, la nostra sfera privata era il primo baluardo da difendere: i nostri amici, interessi, sentimenti erano appannaggio di pochi intimi, una sorta di “Sacro Graal” da nascondere agli sconosciuti. Oggi che il progresso ha ridisegnato i telefoni (rimpicciolendoli ed eliminando quel fastidioso ombelico) il mondo è cambiato e di conseguenza il nostro modus  vivendi.
Telefono diventa telefonino, poi cellulare infine smatphone; le parole sms, mms, app, hashtag, ma anche cloud, access, hardware, software  entrano nel linguaggio comune. Il progresso è velocissimo e la stessa comunicazione si adatta con nuovi e più semplici modalità di trasmissioni: “WhatsApp” e “Twitter”, per esempio, mandano quasi in pensione i messaggini (scusate, volevo dire sms e mms) e la nostra “sfera privata”, comunemente privacy,  svanisce come neve al sole appena si entra in Facebook o Istagram. E’ persino superfluo ricorrere alla semantica.
Conseguenza: la nostra vita non ha più segreti, viviamo ormai circondati da muri di vetro particolarmente trasparenti dove chi volesse malauguratamente creare uno schermo di protezione, sarebbe automaticamente additato come un diverso, un potenziale pericolo, un’opacità da cancellare immediatamente.
E’ evidente che sto estremizzando ma, permettetemi di manifestare la mia personale perplessità e, più in generale, di additare il cattivo utilizzo di “talune” innovazioni e la loro implicazione nel nostro quotidiano. Per esempio, come giustificare il diritto alla riservatezza quando, per la bramosia di possedere l’ultimo tablet o smartphone o altro gingillo tecnologico, utilizziamo, consapevolmente, “app” che presuppongono l’invio di dati che attengono la nostra sfera privata? Come conciliare le manifestazioni di dissenso e nausea verso quelle notizie che svelano le manovre occulte di alcuni Stati, che hanno “spiato” (e certamente ancora “spiano”) personalità e cittadini di altri Stati quando noi stessi siamo portatori di marchingegni tecnologici ai quali continuiamo ad affidare ogni sorta d’informazione riguardante la nostra vita e quella di chi ci circonda, magari con tanto di autoscatto (ops…si dice selfie?!)

Bene, in questo puzzle tecnologico s’inserisce un nuovo tassello. Amazon, il colosso americano, pone sul mercato ECHO, una cassa acustica a forma di cilindro (la forma non è stata scelta a caso dato che riesce a diffondere il suono a 360°) che oltre a farci ascoltare musica è anche munito di microfoni direzionali (7 per il momento) con i quali (udite, udite: è proprio il caso di dirlo!) ascolta le nostre richieste e, collegandosi automaticamente sulla rete, risponde ai nostri input: ricorda appuntamenti, fornisce le previsioni metereologiche, ci aggiorna sulle notizie in tempo reale, smista messaggi ai nostri amici, fa da sveglia ecc. ecc., Una sorta di “piccolo” fratello che esaudisce i nostri desideri.

Insomma lo spirito dell’invenzione è la risposta a una semplice domanda: perché sedersi di fronte ad un pc se puoi avere le stesse informazioni con il suono della voce e senza alcun marchingegno in mano, magari facendo ginnastica o altre cose?  I patiti tecnologici dicono che sarà il primo di una lunga serie di “speaker smart” (sentivamo il bisogno di quest’altro termine), l'elemento che mancava alle famiglie moderne ormai orientate al futuro.  L'aspetto che colpisce è che a questo congegno bisogna rivolgersi chiamandolo “Alexa” (sull’origine del nome femminile onestamente non ne so tanto, azzardo che dovrebbe avere a che fare con un famigliare o amica dell’inventore), senza aumentare particolarmente il volume della voce, giacché i microfoni  riescono ad attirare il suono anche a più di 10 metri. Per il momento Echo sarà venduto ai consumatori americani a un prezzo di listino di 199 dollari circa, in attesa di un prossimo lancio sui mercati europei.
Visto l’imminente arrivo, per qualche appassionato sarebbe bello riceverlo sotto l’albero di natale, magari “acceso”, così si eviterebbe di scrivere la letterina a Babbo Natale e poco importa se i desideri dovessero essere ascoltati da tutti. Meno prosaicamente, in questo caso, la “privacy” potrebbe andarsi a fare benedire….. a Natale è un bene che “tutti” sappiano i nostri desiderata. 

domenica 21 settembre 2014

Ma pinocchio non era toscano?!



Andiamo con ordine: qualche tempo fa, un manipolo di “professori” (spalleggiati dai media e da larga parte degli attuali schieramenti politici), nelle aule del Parlamento, a colpi di fiducia, hanno battuto cassa più di una volta nelle tasche di noi italiani, intravedendo, alla fine del loro percorso, la famosa “luce in fondo al tunnel”.
Emblematiche le lacrimucce pre-stangata di qualche ministro “professoressa” prima del varo della riforma (l’ennesima) delle pensioni che avrebbe comunque, a suo dire, diminuito il peso del nostro debito pubblico.
Conclusione: siamo ancora nel tunnel e il termine “esodato” è diventato parte del linguaggio comune.

Lo spread da 500 scivola a 200 punti.

Altro governo, questa volta di “larghe intese” (come se quello precedente fosse monocolore!!!)  ma col solito copione: si varano ancora altre stangate però si fa dell’altro:
si cambiano i nomi alle imposte ad esempio, (ricordate l’abolizione dell’IMU sulla prima casa? In realtà viene sostituita dalla Service Tax che avrebbe dovuto inglobare la Tares, ex Tarsu e ora si chiama IUC e incorpora anche la TASI);
qualche Ministro scivola sulla buccia di banana di qualche inchiesta della magistratura (ma è prassi comune ormai);
qualcun altro litiga con la collega di colore definendola orango;
si varano una serie di decreti dai nomi accattivanti: il “Decreto del Fare”, il “Salva Roma”, il  “Milleproroghe”, il “Destinazione Italia”.
Al solito si parte con i buoni propositi (restituzione del debito della Pubblica Amministrazione alle imprese creditrici, l’abolizione delle Province, disegni di legge per facilitare l’impiego dei giovani) ma nella sostanza non arriva alcuna “boccata d’aria fresca” e si continuano a toccare le tasche agli italiani.

Lo spread da 200 scivola a 160 punti.

Poi arrivano i tweet subliminali della serie “….stai sereno” e pluff, dopo circa 300 giorni, cade anche questo governo.
Indovinate un po’? Ne fanno un altro …U G U A L E.. cambia qualche volto ma anche questo lo etichettano come: “figlio di larghe intese” (lo so…qualcuno avrebbe detto diversamente).
Comunque la vera novità è LUI. L’imbonitore, chiamato così per via della sua dialettica fluente e accattivante, uno che da del “tu” al giaguaro (per intenderci).

Uno giovane, uno di quelli che sanno usare lo smartphone, sanno inviare foto con instagram e sanno far arrivare messaggi con i tweet, uno che parla con tutti ….più che altro parla, anzi, parla tanto e promette. Accidenti se promette e che promesse!!

Questa estate, ad esempio, tra i vari provvedimenti “sussurrati” ha inserito quello che prevede la misura del pagamento con le carte di credito per tutti gli esercenti al fine di disincentivare il “nero” facendo leva sulla tracciabilità dei pagamenti.

Ma era un provvedimento, un invito o cosa? Tutti ci siamo accorti di non aver visto tra le righe la parolina “obbligo” seguita da “sanzione per l’inosservanza”. E poi, parliamoci chiaro, un provvedimento del genere avrebbe dovuto essere accompagnato da accordi con il sistema interbancario per abbassare i costi di servizio dei POS. E invece? Solo annunci giornalistici in una semi-calda estate ormai passata. 

Oppure ricordate la promessa dell’accelerazione del saldo dei debiti della P.A.? Nella trasmissione televisiva “Porta a Porta” il nostro premier aveva promesso di sbloccarli entro il 21 settembre (guarda un po’ San Matteo) scommettendo addirittura con il giornalista Vespa il quale, come penitenza “per aver osato dubitare”, avrebbe dovuto fare un pellegrinaggio a piedi da Firenze al monte Senario.
Ebbene oggi è San Matteo e con buona pace di Vespa, ci sono ancora un’infinità di imprese che aspettano i loro crediti e poco importa se qualcuna nel frattempo fallisce.

Eppure il nostro iper-attivo e loquace primo ministro, dispensa ottimismo da tutti i pori (perché mi ricorda un noto personaggio milanese?) 

indicando un’imminente ripresa nel 2015 tanto da spingerlo a promettere tempi certi sull’emanazione di tutta una serie di riforme (ancora?!) che dovrebbero sollevare la nostra Nazione.
Non solo!!! per avvalorare le sue tesi, si spinge a promettere “tempi certi” per realizzare i suoi propositi.
Siamo passati dai “100 giorni”, promessi all’atto del suo insediamento, ai “passo dopo passo”, ora trasformati in “1000 giorni”. (Certo sarebbe interessante conoscere il giorno dal quale iniziare il countdown).

E dire che la potente BCE del nostro connazionale DRAGHI, ce l’ha messa tutta per aiutarlo, fornendo alle banche fondi con costi vicino allo zero pur di incentivare l’aumento della liquidità alle imprese attraverso il credito bancario.
Ma le banche, specialmente quelle italiane, “fanno orecchie da mercante” e decidono, per il momento, di non richiedere ulteriore liquidità perché, guarda un po’, non si “fidano” delle imprese.

E che dire, infine, dell’Istituto Nazionale di Statistica che ha intenzione di inserire i proventi illegali della criminalità nel calcolo per la quantificazione del nostro PIL.
Non c’è che dire, si fa di tutto per aiutare qualcuno in difficoltà, tanto da correre il rischio di sfiorare il ridicolo se è vero che l’ISTAT, per questa originale trovata, è risultato vincitore  l’IgNOBEL 2014 per l’economia, un riconoscimento dato dalla Rivista americana “Annales of Improbable Research” che annualmente premia "le ricerche più bizzarre e improbabili".

Insomma, cambiano i governi ma siamo sempre allo stesso punto, quello dei pagamenti. Quelli sì certi. Tra tasse scolastiche, IUC e bollette varie, l’italiano medio continua a pagare, (anche quelli che usufruiscono di 80 euro come surplus). 

Come se non bastasse, l’Ocse, le Agenzie di rating, la Confindustria, la Confcommercio, i soliti economisti, lo stesso Ministro dell’Economia, all’unisono recitano: l’Italia è ancora in recessione”. (Ma va?)
Anche il Fondo Monetario Internazionale, per bocca della potente signora Christine Lagarde, è pessimista sulla ripresa economica della nostra Nazionale se non si mette mano alle pensioni (ancora?).

Lo spread da 160 scivola a 140 punti.

Eppure in questo fosco quadro, stando ai nostri carissimi media (che sfornano tabelle con indici di gradimento come se piovesse), gli italiani pensano ancora positivo aggrappandosi alla voglia di fare del primo ministro che con la sua costante presenza infonde fiducia e promesse.
Sarà ma a me viene un sospetto. Non è che il primo ministro e i suoi seguaci tendono a nascondere la polvere sotto al tappeto tappando le falle con le promesse? Perché se è cosi c’è poco da star allegri, oppure, come è auspicabile, c’è un problema di comunicazione tra le varie parti in causa?
Io non sono certo un esperto, ma da uomo della strada credo che se si vuole cambiare il mondo del lavoro, dell’economia, della pubblica amministrazione, della giustizia ecc. non è che ci si siede al tavolo tra pochi amici e se ne incarica uno (l’esperto) per scrivere le riforme come fossero dei libri. 
E poi non puoi pretendere di proporli tout court con un “prendere o lasciare” senza prima averne discusso con i vari attori interessati.
Capisco che il metodo che si sta cercando di attuare prevede tempi brevi e certi perché “…è l’Europa che ce lo chiede”, ma non siamo in un’azienda (l’analogismo con quel noto personaggio milanese continua a perseguitarmi!!), 

qui si tratta di una Nazione con un’infinità di problemi che attende da anni di vederli risolti.
Ed è proprio l’ottusità di non voler “ascoltare” la controparte politica, le parti sociali, gli attori interessati che frena questo Paese. E’ una malattia che infetta da troppo tempo chi assume le leve dei comandi e che ci porta a questo stato di cose.
Paradossalmente è il voler dimostrare ai propri seguaci che si può fare di tutto, di più e meglio rispetto al predecessore che ci ha portato, negli anni, a sfornare obbrobri di riforme che prevaricano e sostituiscono le preesistenti perché create dalla controparte e, quindi, inutili a prescindere. (Illuminate è l’esempio della scuola). E’ questo ottuso modo di ragionare che ci sta portando al baratro.

Una volta tanto, cari politici, per il bene di questa nazione e dei nostri figli, smettetela di guardare nei vostri orticelli, al vostro elettorato, di obbedire alle lobby bancarie europee e “provate” ad affrontate i problemi, almeno uno per volta, ascoltando le parti in causa, possibilmente immedesimandovi quanto più possibile nelle realtà che intendete modificare e poi, dico poi, prendete una decisione, questa volta, si, definitiva e ponetela al centro delle scelte del Parlamento, che, fino a prova contraria ci rappresenta, altrimenti si rischia di essere etichettato come “inesperto”, “autoritario” e “malato di protagonismo” e magari non è certo questa l’intenzione.

P.S.: Ho cercato di mettere tutto in un tweet ma mi si dice che ho usato troppi caratteri.




venerdì 19 settembre 2014

Basta con le etichette british. A tavola con gusto e intelligenza.

Qualche tempo fa mi sono occupato dell’etichettatura dei cibi in vendita nei Paesi del Nord Europa ed in particolare di quelli riportanti il cosiddetto “bollino semaforico”, http://parsifran.blogspot.it/2013/12/bollino-tavola-molto-british.htm in origine un fenomeno del tutto inglese, ma poi esteso ad altri Paesi della stessa area geografica.

In breve le legislazioni di questi Stati (tra cui l’Olanda, la Scandinavia e, appunto, il Regno Unito) hanno imposto alle industrie di generi alimentari e della distribuzione l’obbligo di etichettare preventivamente i cibi con queste particolari etichette così da permettere al consumatore “nord-europeo” di valutare, in un batter d’occhio,  se il cibo che si sta scegliendo sia ricco, ad esempio, di zuccheri oppure di grassi piuttosto che di sale.

All’epoca avevo paventato, ma non solo io, che dietro la giustificazione di natura salutistica si celasse, in realtà,  una sotterranea guerra di natura commerciale tesa a indebolire le economie di quei paesi del Sud Europa (tra cui la nostra Italia) produttori di eccellenze in campo alimentare e di conseguenza rafforzare il consumo dei loro prodotti interni, altrimenti soccombenti.

Ritengo sia superfluo ribadire l’assoluta “parzialità” dell’etichettatura attraverso l’uso dei colori rosso, giallo e verde (appunto come un semaforo) per indicare, ad esempio, il contenuto dei grassi in una bottiglia di olio extravergine d’oliva, come del sale in un ottimo prosciutto crudo.

Ora qualcosa deve essersi mossa se è vero che alcuni Paesi dell’area Mediterranea dell’Unione Europea hanno deciso (finalmente) di far sentire le proprie rimostranze, contro questa pseudo barriera commerciale innalzata a forza di etichette che nulla hanno a che vedere con la difesa della salute del consumatore.  

L’uso di queste etichette induce a pensare più di “pancia” (per restare in tema) che di testa, è fuorviante appiccicare un bollino rosso ad una boccetta di ottimo aceto balsamico di Modena solo per il quantitativo di zuccheri contenuti; è logico che il consumatore distratto davanti allo scaffale preferisca un anonimo aceto di vino etichettato con un bollino verde piuttosto che un prodotto di eccellenza.         

Finalmente è di questi giorni la notizia che la Commissione Europea ha deciso di avviare una procedura d’infrazione nei confronti dei Paesi che utilizzano questo assurdo bollino semaforico, in primis il Regno Unito. Firmatari del provvedimento 18 Paesi UE tra cui l’Italia.

E’ innegabile come la produzione agroalimentare Made in Italy, per la sua diversità, originalità, genuinità ed eccellenza sia oggetto di desiderio di aziende straniere (ormai tese, soprattutto in questo difficile momento economico, ad acquisire partecipazioni societarie dei nostri marchi alimentari, con conseguenti delocalizzazione di produzioni ed uso di materie prime differenti) o vittima molto spesso di contraffazioni.

Almeno su questo fronte, cari politici e cari media, facciamo sentire le nostre ragioni, non solo attraverso la minaccia di infrazioni ma educando i consumatori, tutti i consumatori, compresi quelli del Regno Unito e dintorni, a far comprendere loro che non basta un bollino colorato per tutelare la propria salute se non migliorano la loro conoscenza alimentare e non curano un perfetto stile di vita.    

domenica 7 settembre 2014

COROLLARIO DI EVENTI NON PROPRIO FELICI CHE VORRESTE AUGURARE AL VOSTRO CAPO

Una delle infinite probabilità che il nostro vivere quotidiano può (purtroppo) riservarci è la possibilità di incrociare persone che, sfruttando la loro posizione dominante (in campo lavorativo, sociale, sportivo, politico ecc.) possono rendere le nostre giornate un inferno o comunque degne di “non” essere ricordate, specialmente in questo particolare periodo post feriale.
Tali individui, spesso arroganti, a volte caratterizzati da grettezza d’animo e approfondita ignoranza, facendo leva sul loro “status”, hanno la capacità di suscitare, nei confronti dei malcapitati, (volgarmente chiamati, “impiegati”, “dipendenti”, “collaboratori”, “sottoposti”, “statali” ecc.), profondi sentimenti di rivalsa e persistenti note di biasimo, molto spesso immaginifiche di situazioni connotate da una discreta voglia di vendetta.     
Naturalmente non mi riferisco alle vittime di “stalking” o ad altri tipi di maltrattamento più o meno gravi, (la cui analisi richiederebbe un’approfondita preparazione di natura antropologica, psicologica, sociologica e legale, che personalmente non posseggo) né, tantomeno, intendo passare per assertore dell’assioma: il “capo è stronzo a prescindere”. Ho voluto, soltanto “caricaturare” coloro che, avendo un gradino più alto di responsabilità, credono di nascondere la loro inferiorità intellettuale trincerandosi dietro la loro posizione privilegiata (non ammettendo errori di sorta e comunque negando qualsiasi interlocuzione altrimenti considerata “ricatto”) e, nel contempo, perorare la causa di quelle persone che, per indole, autocontrollo o, più ragionevolmente, per educazione e “sopravvivenza”, riescono con tanta fatica a far rientrare nell’alveo dei desideri indicibili ciò che realmente pensano di questa gente con la quale, loro malgrado, sono costretti a convivere.   
L’intento è quindi quello di esorcizzare questo istinto di “ribellione” e “cattiveria”, (anche e soprattutto per evitare spiacevoli situazioni di dissidio nei rapporti interpersonali altrimenti irrecuperabili),  creando un ipotetico elenco di desideri indicibili, aperto anche ad eventuali ulteriori contributi esterni. Ovviamente, essendo un uomo, ho immaginato l’E.S. (Essere Supremo) appartenente al genere dei maschietti, magari appassionato di politica e sofferente di onnipotenza,  ma è facilmente modificabile a seconda delle esigenze.      
In tal senso ho cercato di rendere visibili questi desideri formulando una semplice domanda: Cosa vorremmo augurare al nostro piccolo “Essere Supremo” quando, con la sua innata facilità riesce a far “girare” il verso della nostra giornata, e non solo quella, da brillante e positiva a cattiva e deprimente?  Le tante risposte che ho raccolto da un piccolo campione di amici e colleghi sono variegate.
Queste sono quelle che, per motivi di spazio, ho ritenuto degne di essere elencate e condivise:       
patire un improvviso e fastidiosissimo prurito sotto la pianta dei piedi mentre sei sul palco ed illustri ad una platea di gente importante, che ti guarda ed ascolta in religioso silenzio, la relazione sull’andamento aziendale;
controllare tutto dall’alto della tua mega scrivania, facendoti passare per responsabile super oberato di  lavoro, mentre azioni, involontariamente, il volume del tuo p.c. al massimo durante la visione di un porno;

subire un improvviso bisogno di fare pipì durante la tua prima cena galante con la tua Lei e non riuscire più a resistere allo stimolo mentre, dopo tanto corteggiamento, decide di confidarti il suo segreto più recondito;  
riuscire, comunque, con una scusa plausibile ad andare in bagno e accorgerti che ce ne sono quattro in fila prima di te;
a mali estremi trovare, nonostante tutto, un angolino nascosto nel giardino e accorgerti che la lampo del pantalone è incastrata;
da fumatore incallito, quale sei, essere capace di sgattaiolare attraverso un’uscita secondaria da una importante riunione, in corso da ore, per assaporare una sigaretta ed accorgerti che l’accendino non funziona;
un improvviso e violento starnuto mentre sorseggi lo spumante servito per il 1° compleanno della figlia  del Capo Supremo inondando gli invitati di vino e bollicine, tra cui il vestito nuovo e preferito della moglie del Capo Supremo;
confidare ad una persona appena conosciuta durante una festa privata che la casa è arredata in modo pacchiano e priva di stile e scoprire che l’interlocutore è il proprietario;
riuscire ad invitare, dopo un lungo corteggiamento, la Lei dei tuoi sogni ad una serata al cinema per la visione di un thriller e, mentre il tuo braccio si poggia timidamente sulla sua schiena, subire un attacco improvviso di flatulenza proprio durante la scena del film in cui il volume si abbassa repentinamente;
entrare in un locale alla moda e accorgerti di aver pestato l’escremento di un cane con problemi intestinali quando noti che tutti ti evitano;
uscire dal locale alla moda e cercare di liberarti del fardello maleodorante utilizzando il tappetino di ingresso di un locale vicino e accorgerti, dopo due tre strisciate,  che il proprietario, un omone di 2 metri per di 100 kg di peso, noto per la sua permalosità,  è dietro alle tue spalle ad osservarti;
leggere il giornale ad alta voce in ufficio credendo che il titolo: “Razzi su Israele” si riferisca al noto parlamentare che ha da ridire anche sulla politica estera;            
diventare l’involontario bersaglio degli escrementi corrosivi di un gabbiano nottambulo con problemi gastrici, appena scendi dall’auto in smoking per assistere alla “prima” teatrale della stagione;
intervenire, senza essere invitato,  nella discussione tra colleghi che parlano di gechi (lucertoline notturne) rendendoti disponibile a partecipare ad un eventuale colletta di sostegno per aiutare eventuali associazioni di non vedenti.
Come si legge il corollario augurale di eventi non proprio felici è vasto e variegato e potrebbe proseguire all’infinito, pertanto mi fermo qui, non senza aver ringraziato i soliti amici per la squisita collaborazione. 
P.S.: Esiste una recondita possibilità che la redazione di questo post sia figlia di una qualche momentanea irritazione nei confronti di qualcuno o qualcosa, nondimeno mi corre l’obbligo di sottolineare che: “ogni riferimento a persone, cose e/o situazioni è volutamente casuale”.

domenica 13 luglio 2014

Tragicomica giornata estiva di una famiglia tipo italiana. Mini sceneggiato da bere tutto d’un fiato.


Tutti al mare… tutti al mare… era il motivetto di un brano musicale cantato dalla grande  Gabriella Ferri che negli anni ‘70 invogliava gli italiani a godere delle meraviglie dell’estate. Luglio è appena iniziato e come ogni fine settimana che si rispetti, colonne di auto si spostano dai centri urbani per “invadere” le nostre spiagge.

Qui in Sardegna, che per amore e dovere di ospitalità sarà il teatro di questo episodio, di materiale da “invadere” ce n’è in abbondanza ed è in questo scenario che ho immaginato la giornata tipo vissuta da un ipotetico nucleo familiare che, pur di non rinunciare ad una giornata di mare, è disposto a subire di tutto spingendosi al limite del masochismo.

Tutto inizia sabato mattina. Sono le 6,00 e Cagliari comincia ad animarsi. I croissant e l’aroma del caffè già invadono le strade ancora vuote, il giornalaio solleva la saracinesca dell’edicola mentre un signore di mezza età aspetta l’autobus alla fermata osservando distratto un gruppo di “tubanti” piccioni alla perenne ricerca di qualcosa da beccare; in questo caldo e sonnacchioso mattino già si notano le prime automobili parcheggiate con i loro portabagagli aperti.

Simili a coccodrilli sono pronte a fagocitare qualsiasi borsa si palesi davanti. Il papà cerca di animare i due bambini ancora caldi di letto che, come zombi, si trascinano riluttanti sui sedili posteriori dell’auto scegliendo il posticino migliore dove continuare a dormire, mentre la mamma, accompagnata dall’immancabile suocera, provvede, come un nastro trasportatore, a sfornare borsa frigo, ombrellone, spiaggine ed ingombri vari che presto satureranno ogni spazio presente nell’auto con evidenti rimbrotti del marito. Ci siamo! La famiglia è completa, l’auto è carica ed in perfetto orario. Ore 6,30: si parte. Destinazione spiaggia di “Mari Pintau”, una stupenda caletta posta lungo la litoranea che conduce a Villasimius, fatta di piccoli sassi levigati e sabbia bianca finissima, con un mare che contempla tutte le sfumature di azzurro. Periodo di percorrenza invernale: 45 minuti circa.


Il papà (pilota e regista di questa giornata)  è orgoglioso di aver rispettato i tempi, basta solo fare benzina al distributore dietro l’angolo e via verso il mare alla conquista di un posteggio all’ombra per l’auto e della migliore posizione per l’ombrellone (magari sulla battigia).  Ore 6,32: si volta l’angolo. Trenta auto incolonnate su quattro colonne aspettano di rifornirsi al mega distributore automatico,  il nostro eroe è il trentunesimo. Si inizia con la prima imprecazione seguita da quella della moglie che rincara la dose addossandogli la responsabilità per non aver provveduto per tempo il giorno prima “cosi come gli aveva consigliato”. Naturalmente la suocera, un donnone di 95 chili per una circonferenza di 110 cm, che per ovvie ragioni occupa il posto accanto al guidatore generando una leggera inclinazione dell’auto verso destra, rincara la dose e si accoda ai rimproveri della figlia rimarcando il fatto di aver udito con le proprie orecchie la manchevolezza che la figlia gli ha appena addossato.  Siamo agli inizi della giornata, per il quieto vivere il marito ammette le proprie responsabilità e armandosi di buona volontà, comincia la sua prima coda. Ore 7,05: dopo aver rifornito si parte per la litoranea, dopotutto, pensa lui, è ancora presto. Si percorre la città, i semafori (quei pochi sopravvissuti alle rotonde ormai padrone dei nostri incroci) sembra non aspettino altro che veder passare l’auto del nostro eroe per scatenare il loro colore preferito, quello che tra i tre ama attardarsi di più: il ROSSO. Ogni stop è una stilettata. Accanto, dietro e davanti si materializzano altre auto con a bordo altrettante famiglie con le medesime prerogative: arrivare il più presto possibile!! Ore 7,30: si percorre ancora la città, si cerca di aumentare l’andatura per recuperare sulla tabella di marcia ma è inutile, gli ostacoli aumentano, si affrontano le rotonde, gli automobilisti furbi, i clacson che agiscono all’unisono allo scatto del verde dei semafori; nel frattempo il caldo comincia a mordere, il marito aziona il condizionatore che la suocera spegne immediatamente trincerandosi dietro la difesa della salute dei bambini: “e’ molto meglio tirar giù i finestrini” dice, anche la figlia è d’accordo, lui cerca di insistere. Niente da fare la maggioranza è netta e poi.. se tutti sono in ritardo la colpa è sua quindi... giù i finestrini. Un’aria calda e umida si insinua in auto. Ore 8,15: si arriva al Poetto, la spiaggia dei cagliaritani e dei quartesi, una lunghissima lingua di sabbia bianca che partendo da un promontorio, chiamato Sella del Diavolo, prosegue per circa 8 km fino al litorale di Quartu Sant’Elena. La medesima distanza copre il vialone che la costeggia.

Quattro corsie che hanno la più alta concentrazione di semafori….. funzionanti. Si percorre obbligatoriamente a 50km/h, pena: multe salatissime e salasso di punti sottratti alla patente. Il caldo aumenta, la coda pure, la strada diventa un inferno. Alcune famiglie, che hanno deciso di fermarsi su questa spiaggia, precedono i nostri eroi con la loro auto con un insolente incedere lento alla ricerca di un posteggio, altre, incuranti di chi li segue, si fermano improvvisamente e, come se nulla fosse, iniziano a svuotare l’auto intasando la carreggiata con ombrelloni e sedie varie. Si procede a meno di 50 km/h, i semafori naturalmente sfoggiano il colore preferito: IL ROSSO. Ore 9,00: l’ennesima rotonda, con annesso intasamento,  indica la fine della strada. Auto che sbucano dappertutto, clacson che suonano, la temperatura che diventa insopportabile, il nostro eroe, a passo di lumaca, cerca di liberarsi da questa trappola, pure la ventola del motore comincia a farsi sentire. I bambini, finora silenziosi, cominciano con la solita domanda: “quando arriviamo?”  Presto tesori miei, presto”  risponde la mamma “a quest’ora saremmo già in acqua se papà non avesse avuto la brillante idea di fare benzina questa mattina”. “E’ vero!!”, interviene la suocera, “l’ho sentito con queste orecchie vostra madre ieri sera quando ha chiesto a vostro padre di fare benzina. Ma lui niente!” Nel mentre tira fuori un enorme ventaglio che smuove odori ascellari (con vaghi sentori di metano e cipolla) . Ore 9,30: si prosegue a passo d’uomo, la strada ha una serie di incroci che portano a diverse calette, è un continuo fermarsi e ripartire; come se non bastasse un pullman di linea precede la colonna del nostro eroe facendo sosta su tutte le fermate. I “nostri” senza saperlo sono diventati un piccolo segmento dell’enorme serpentone metallico che si dimena sulla litoranea che costeggia il grande golfo di Cagliari. Ore 10,40: si arriva finalmente alla mèta.


E’ chiaramente intuibile, visto l’orario, l’assenza di un posteggio all’ombra. Tutta la strada è costeggiata su entrambi i lati da una serie di auto ormai arroventate dal sole. “Quando scendiamo  mamma?” , “Non appena vostro padre riuscirà a trovare un posteggio” risponde la mamma che rincara: “d’altronde se avesse seguito i miei consigli……!!!”E’ vero l’ho sentito con queste mie orecchie che doveva far benzina ieri  irrompe la suocera, madida di sudore ma fedele al suo intento di non accendere l’aria condizionata.  Si scorge un posteggio a 200 metri dall’ingresso della spiaggia, naturalmente sul ciglio della strada. Finalmente a terra. Ore 11,10: si arriva sull’arenile carichi di borse frigo, ombrellone, sdraio e giochini per i bambini e si cerca un punto dove appostarsi.  Naturalmente addio sogni di gloria, niente posti in riva la mare. Si trova comunque un sistemazione nelle retrovie e ci si accampa. “Potevamo essere in prima fila se qualcuno non avesse deciso di fare benzina questa mattina”  insiste la moglie e la suocera, di rimando, “e’ vero l’ho sentito con queste mie orecchie quello che gli avevi raccomandato”. “Mamma quando si va in acqua?” i bambini sono irrequieti.
 
Ore 11,50: finalmente, districandosi tra i vari ombrelloni, si guadagna la riva e si assaggia l’acqua con i piedi nudi, gli animi cominciano a placarsi, “abbiamo avuto qualche difficolta ma ne è valsa la pena”  esordisce il nostro eroe “si lo spettacolo è stupendo” risponde la moglie “i bambini non vedevano l’ora di tuffarsi in acqua…….guarda come sono felici.. ma perché non hai fatto benzina prima?” “Già perché non hai seguito i consigli di mia figlia?” interviene la suocera, materializzatasi chissà come alla spalle del nostro eroe,   “l’ho sentito con queste orecchie ieri sera”. Si va avanti tra un bagno e l’altro sino a quando il sole non inizia la discesa verso il tramonto. Ore 18,30: “Quando andiamo via?” chiede la moglie…. “già quando?” ripete la suocera (che avendo il dono dell’ubiquità è presente in qualsiasi dialogo). “Secondo me è importante partire con intelligenza, se seguiamo il flusso della gente rischiamo di trovarci imbottigliati come questa mattina. Partiamo un po’ più tardi, mangiamo qualcosa alla pizzeria che c’è più avanti e ritorniamo con il fresco della sera” risponde il marito. “Ma non possiamo restare qui fino a notte fonda” controreplica la moglie “i bambini sono stanchi e la mamma lo sai che va a letto presto” …..”Lo sai che non posso andare a letto tardi?!…ho una certa età e problemi di cuore” rimarca la suocera.  Ormai è fatta! La decisione è presa si parte subito. Ore 19,00: con la pelle intrisa di salsedine, il caldo ancora insopportabile e senza riserve di acqua fredda la famiglia intera, con paccottiglie a seguito, si avvia sulla strada del ritorno. Il viottolo che conduce al posteggio è ovviamente in salita ed è già intasata di gente. La suocera, (pesante di suo), arranca e rallenta le persone che precede garantendosi una generosa dose di rimproveri (il nostro eroe, per la prima volta sorride sotto i baffi). Finalmente l’auto. Le lamiere sono arroventate e a nulla serve aprire tutte le portiere. Non esistono rimedi se non “accendere il condizionatore”. Niente da fare…la suocera accampa la solita scusa e rifiuta di viaggiare in un auto con l’aria condizionata (la cosa naturalmente non dispiacerebbe al genero che già immagina la scena: la sua auto che procede verso casa e lo specchietto retrovisore che riflette la figura, sempre più piccola, della suocera mentre sbraita e gesticola sul ciglio della strada) la figlia naturalmente è d’accordo e quindi si procede come al solito. Ore 19,30: si “ri”-parte.
Naturalmente lo scenario non cambia, il serpentone è lo stesso di quello dell’andata, auto e auto e ancora auto che abbandonano le spiagge e si riversano sull’unica strada che conduce alla città; andature da lumaca, caldo asfissiante, la suocera che tira fuori il ventaglio con gli stessi odori ascellari, i figli che continuano a chiedere come un mantra quando si arriva, i semafori eternamente rossi, le rotonde continuamente intasate ma, stranamente, nessuno osa rimproverare l’autista che con fiero cipiglio da guerriero alle ore 22,30, sotto casa risponde ai suoi bambini: “saremmo potuti arrivare a casa un po’ più tardi ma freschi e riposati se la mamma e la nonna non avessero deciso diversamente….l’ho sentito con le mie orecchie”.                                        

venerdì 20 giugno 2014

Esternalizziamo il superfluo interno


Dal Giappone arriva il “Washlet” un water che funge da bidet ma che assolve anche ad una miriade di altre funzioni. A dire il vero è dal 1980 che gli eredi dei samurai adottano questo particolare strumento; chi ha avuto la fortuna di visitare quella nazione ha notato la presenza di questo arredo in quasi tutti gli alberghi.

Non si tratta quindi di una novità assoluta ma la sua presenza in Europa, al momento molto discreta, rischia di stravolgere la nostra quotidianità. La fantasia degli scienziati dagli occhi a mandorla si è scatenata.
Si tratta all’apparenza di un normale water al quale però sono stati applicati una serie di sensori e accessori; una volta entrati in bagno “ci accoglie” alzando dolcemente il coperchio, e già qui avrei qualcosa da dire, per esempio se volessi entrare in bagno per lavarmi il viso o per guardarmi allo specchio o per qualsiasi altro motivo, perché dovrei accogliere l’invito a sedermi sul water? Perché di invito si tratta o no?  Ve lo immaginate un ospite che soffre di stitichezza che entra nel vostro bagno per lavarsi le mani?  Il poveretto si troverebbe un water che si apre automaticamente!? Non è carino!! Sembra quasi una presa per il c….(giustappunto)!

Ma continuiamo ad esplorare questo fantastico strumento. La tavoletta è munita di sensori che misurano la temperatura dell’ambiente e conseguentemente scelgono il grado di calore ideale per la seduta, (fresca d’estate e calda d’inverno). Sfiorando un semplice tasto è possibile diffondere nell’ambiente gradevoli  profumi, ascoltare musica o, se preferite, diffondere suoni stimolanti, (l’infrangersi del mare sulle rocce, il rumore di un ruscello, il ticchettìo della pioggia).
Ma non finisce qui, ogni particolare esigenza potrà essere memorizzata e personalizzata per ciascun membro della famiglia; grazie a sensibilissimi dispositivi ciascun componente sarà riconosciuto attraverso la misurazione del peso corporeo e, pensate un po’, delle dimensioni del “posteriore”. Come a dire: a ciascun “deretano”… il suo personale “bisogno”.
Ma cosa accade una volta terminata la “seduta”? All’interno della tazza, a pochi centimetri dal nostro posteriore, (la distanza ovviamente viene calcolata automaticamente da un microchip), si materializza, accompagnato da un semplice click, un piccolo braccio mobile con un terminale munito di una serie di ugelli direzionabili che, indirizzando il flusso dell’acqua nelle giuste “zone”, garantisce la nostra igiene intima. Naturalmente è possibile scegliere sia la temperatura che la modalità di uscita dell’acqua:  potente,  oscillante o massaggiante, a seconda dei gusti e poi, (e qui viene il bello) sempre stando seduti, un gradevole flusso d’aria, con annessa profumazione a scelta, provvederà ad asciugarci, mandando così in pensione la vecchia e cara carta igienica.

A questo punto, con il sederino asciutto e profumato, ci si può alzare e affrontare la giornata. Ma non è finita qui perché, appena usciti dal bagno, il coperchio del Washlet  si chiude dolcemente attivando l’ultimo meccanismo infernale : il “Tornado Flush” un sistema innovativo (ma guarda un po’!) che utilizzando un terzo della quantità d’acqua normalmente usata dai comuni water, attraverso ulteriori ugelli, dotati al proprio interno di speciali alette, creano potenti flussi di acqua capaci di formare una serie di turbinii sulle pareti provvedendo così alla pulizia e all’igienizzazione del water.
Personalmente alcune cose mi lasciano perplesso, una su tutte, ma se volessi fare la pipì cosa succederebbe?

Ricordate quando da piccoli immaginavamo il futuro? Si pensava alle auto volanti, al teletrasporto, ad astronavi capaci di oltrepassare la barriera del tempo … chi poteva immaginare il water come uno simboli della tecnologia innovativa. Adesso ci siamo, il futuro è oggi, scordiamoci l’espressione “vado a fare la popò” adesso si dice “vado ad esternalizzare il superfluo interno”, la semantica se ne farà una ragione.      

                   

mercoledì 21 maggio 2014

EUROPEE. DIAMO UN VOLTO A CHI VOTIAMO


Ancora pochi giorni e saremo chiamati a votare per rinnovare il Parlamento Europeo. La battaglia tra i candidati diventa sempre più aspra. I BIG, (in doppio petto o con le felpe),  invadono i media con i loro proclami e le loro promesse, cavalcano la rabbia dei cittadini che, incuranti del passato più o meno recente e appesantiti dalla solita memoria corta, continuano a restare ammaliati dalle loro performance e dalle loro intenzioni, sempre meravigliosamente attraenti e incredibilmente vicine ai desideri di tutti. La demagogia impera.

Più si avvicina il 25 maggio e più la giostra delle promesse si arricchisce di perle: aumenti di pensioni e stipendi, emersioni improvvise di posti di lavoro, fondi di denaro a pioggia, redditi garantiti, pugni da battere sui banchi europei, nuove monete, case per tutti e in più: niente alluvioni, giornate di sole per l’estate imminente, diminuzione repentina di terremoti e il solito refrain della diminuzione delle tasse.

La cosa che più imbarazza non è tanto il modo in cui i nostri parlamentari agiscono (è la loro natura) quanto il nostro impegno ad ascoltarli.

Il 25 maggio 2014, anche grazie al nostro “eventuale” contributo, si darà vita all’ottava legislatura del Parlamento Europeo, un organismo che, ricordiamolo, in questi ultimi anni, proprio nel momento storico in cui ha visto mutare e accrescere i suoi poteri decisionali, soprattutto sulle scelte economiche dell’Unione Europea, non ha trovato su quei banchi personaggi “nazionali” capaci di incidere in maniera determinante per la tutela dei nostri interessi.

Sfido il comune cittadino, come me, ad elencare i nomi di almeno 5 politici, di qualsiasi colore, che in questa ultima legislazione europea hanno rappresentato i nostri interessi o lasciato un’impronta degna di essere ricordata.
Una situazione paradossale ma facilmente spiegabile dall’atteggiamento dei nostri partiti, i quali considerano questo appuntamento più come una prova per testare l’orientamento dell’elettorato (da usare eventualmente come peso specifico nelle loro beghe nazionali), piuttosto che un serio obiettivo da perseguire “insieme”, facendo, con impegno, “fronte comune” per orientare le politiche europee verso un miglioramento dei nostri disastrati conti.

Tra pochi giorni saremo chiamati ad un importante compito, dovremo nominare i nostri rappresentanti in Europa, dovremo scegliere, (cercando di evitare di essere coinvolti nelle beghe di bottega dei partiti di rispettiva appartenenza), coloro che si faranno carico di portare avanti i nostri interessi e quelli dei nostri figli.
 
Penso sarebbe stato civile e democratico conoscere i volti dei candidati e le loro prerogative piuttosto che quelle (già stantìe) dei leader dei loro partiti o movimenti, impegnati, come al solito, a mettere in scena il teatrino delle accuse reciproche e ad essere contesi da giornalisti fieri di aumentare l’audience dei loro talk show.  

Riconosco che la mia è solo utopia ma, per quanto possibile, sleghiamoci dall’appartenenza ai nostri partiti e, nei limiti delle nostre possibilità, se crediamo di dover votare, acquisiamo notizie sui candidati, su tutti i candidati,  informiamoci, conosciamoli, utilizziamo tutti i canali di informazione possibili; insomma “diamo un volto a chi votiamo”….hai visto mai che qualcosa cambia?                   


       

domenica 4 maggio 2014

Come preparasi all’imminente arrivo dell’estate. Mini tragica odissea di un “over ..anta”

Dai su confessiamolo, la preoccupazione inizia a farsi sentire, la tensione cresce, insomma la “sindrome estiva” comincia a mordere, l’estate è ormai vicina e nessuno può fermare il tempo, lo si vede nei bar, lo si nota al supermercato e soprattutto è evidente in palestra.
I primi tepori tardano ad arrivare ma è ben chiara in ognuno di noi l’esigenza di (come dire?!) rendere presentabile il nostro fisico. E’ arrivato il momento di cambiare il guardaroba. Via i maglioni, i giacconi, i cappotti e tutto l’abbigliamento invernale,  che in questi mesi ha “celato” così bene i nostri difetti e i nostri peccati di gola, e largo agli abiti primaverili o, peggio, estivi, alle camicie slim, alle giacche aderenti, alle magliette, ai pantaloni a vita bassa e, soprattutto, ai costumi da bagno.

Salvo poche eccezioni, alzi la mano chi, indossando un indumento dell’anno prima, ha esclamato:“mi sta un po’ largo”. Come un fantasma si materializza quel fastidioso, insolente e impertinente chiletto che riesce a rovinare la silhouette del nostro fisico.
E allora presto con i rimedi, subentra nella psiche umana l’irrefrenabile voglia di correggere gli “orrori di gola” sottoponendosi a massacranti torture fisiche e privazioni alimentari; il tutto entro poche, pochissime, settimane.
Inizia così il periodo delle privazioni, dell’effimera illusione di rimediare, sintomo molto comune nelle fila degli over “anta”.


Prima tappa: il bar. Come resistere ad un croissant appena sfornato, alla vista di capolavori della pasticceria italiana in bella vista, al profumo del caffè, alla visione dei clienti che, con la bocca ancora spolverata dal bianco dello zucchero a velo, glorificano la prelibatezza di un cannolo, di un millefoglie o di un cornetto alla crema? Tutti i sensi sono sollecitati. Come reagire a questo attacco?  La risposta è semplice: solo un caffè, direbbe il buon senso, ma i sensi non rispondono e allora …”un croissant alla crema per favore, quello tiepido mi raccomando!...e un caffè con UNA BUSTINA DI DOLCIFICANTE, rimarcando il tono, quasi a voler far sentire agli altri, ma più che altro a se stessi, l’esigenza di porre un limite all’eccesso appena “consumato” .              

Seconda tappa: la palestra, incomprensibilmente piena di gente che, inspiegabilmente, sceglie di fare il tuo stesso percorso di fitness (pancia piatta) al tuo stesso orario. E allora lunghe e interminabili code al tapis roulant, alla cyclette, alla panca dei pesi e a tutti quegli infernali strumenti di tortura. Risultato: esci stressato e incazzato per aver perso un’ora del tuo tempo senza aver concluso niente.

Terza tappa: il supermercato. Preso dai rimorsi suscitati dalla prima tappa (il bar)  si pensa ai rimedi. Come nutrirsi senza grassi? Si comincia dalla scelta dei biscotti per la prima colazione, rigorosamente a base di the o, al più, di latte scremato. Come un turista al museo ci si trova davanti allo scaffale ammirando le varietà di prodotti che il mercato offre, e allora, indossando i fedelissimi occhialini da presbite, si comincia a leggere le etichette nelle speranza di trovare un biscotto, una tavoletta o una qualche barretta che concili il giusto sapore con il corretto numero delle calorie o dei grassi. L’operazione richiede un certo lasso di tempo e quindi, inconsapevolmente, si lascia il carrello al proprio destino, tanto si è immersi nella lettura di etichette stampate con caratteri sempre più piccoli; ed è proprio in questo frangente che un discreto numero di persone comincia ad intasare gli angusti corridoi; di chi è questo carrello? Insomma bisogna avere un po’ di educazione diamine! E giù epiteti sempre più marcati finché, scosso dal vocìo sempre più evidente, ci si rende conto di essere la causa di quel trambusto e allora, scusandosi, ci si allontana da quell’inferno, salvo poi ritornarci con più calma scegliendo un improbabile agglomerato di cereali, dalla forma lontanamente rassomigliante ad un frollino, solo perché influenzato dalla pubblicità della confezione (senza zuccheri aggiunti, senza uova, solo e soltanto farina integrale, col 35% di grassi in meno ecc.) e dal poco tempo a disposizione rimasto prima che si crei un altro ingorgo (chissà perché  i corridoi tra gli scaffali dei supermercati sono sempre così stretti!?)
   
Finalmente arriva l’estate, ultima tappa della mini odissea. Il costume da bagno. Cosa indossare? Il mercato ti offre un’infinità di modelli: sgambatissimi e super mini per lei, attillatissimi per lui. E’ l’esplosione della sexi-lingerie, del modello accattivante che evidenzia il fisico scultoreo, dei costumi dai colori sgargianti.
Entrando in uno dei tanti negozi specializzati, l’espressione che ci si incolla sul viso, guardando questi modelli, è un misto tra incredulità ed ebetismo fulminante e la domanda che ci si pone, vedendoli, è la seguente: come cazzo faccio ad indossare un cencio del genere?

All’inizio non ci si  rassegna e con un briciolo di speranza si chiede alla commessa uno dei modelli con una o due taglie più grandi rispetto all’anno precedente (hai visto mai che qualcosa trovo!), poi, indossandoli, subentra la delusione accorgendoti che qualche piega di troppo fuoriesce, inconsapevolmente, dal tuo ventre o dai fianchi, e allora, sfiduciato/a, ti siedi sull’unica panchetta dello striminzito stanzino-prove, e, mentre ti guardi allo specchio prende piede la frustrazione; ti accorgi che la posizione da seduto/a palesa un aumento, nel numero e nelle dimensioni, delle stesse pieghe e così, dal nulla, si materializza nella mente un cucciolo di “sharpei”, (avete presente quei cani di razza cinese caratterizzati da un pelo corto con tante pieghe?) e, chissà perché l’associ alla tua l’immagine.

Il dramma è compiuto, il colpo finale è la classica richiesta della commessa che aspetta fuori dal camerino: “come vaaaaa?” Non resta che rispondere: non mi piace il colore.  

Basta! Questa estate vado in montagna!