venerdì 7 ottobre 2016

ISTRUZIONE - AFFIDIAMOCI A MADRE NATURA

Sfogliando i due maggiori quotidiani della Sardegna, sono rimasto colpito da due articoli. In uno si parla dell’inaugurazione di un salone dedicato all’innovazione HI-TECH in Sardegna: “SINNOVA 2016”, ove, tra l’altro,  si magnifica la scelta della Sardegna come polo attrattivo di investimenti da parte delle multinazionali del settore, sulla base di determinati parametri, quali la qualità della vita e il grande capitale umano disponibile;  nell’altro, si parla della grande fuga dei sardi, specialmente giovani, verso altri paesi europei, per mancanza di prospettive lavorative.  

D’acchito si è portati a pensare ad una certa discrasia tra le due notizie, l’una smentisce l’altra; approfondendo, però, ci si accorge che una certa coerenza esiste. In una si parla di investimenti per la costituzione di poli produttivi di innovazioni tecnologiche e, quindi, di potenziali prospettive lavorative per coloro che possiedono una preparazione scientifica, dall’altra  si parla di fuga generalizzata di giovani, soprattutto neo laureati (con indirizzi diversi ma riconducibili nell’alveo umanistico) magari con qualche master e con qualche anno di precariato sulle spalle, ma tutti rassegnati a sperare in un futuro all’estero, viste le scarse attrattive che questa terra offre.
Sono passati tanti anni e siamo ancora qui a discutere sulle giuste scelte dei percorsi formativi da intraprendere per entrare nel mondo del lavoro.  Serviranno gli indirizzi scientifici o quelli umanistici?  Giusto per dare una risposta propenderei per un equo mix,  d’altronde come può esserci scienza senza la creatività.

Il problema, però, non è questo ma cosa la scuola, nella sua accezione più ampia,  può offrire? Quale bagaglio culturale, qualitativamente parlando, è capace di proporre? Che capacità possiede per assistere gli studenti nei vari percorsi intrapresi? Cosa offre ai suoi insegnanti per spronarli a progredire nel loro lavoro e di conseguenza a stimolare l’apprendimento ai propri studenti?
Attualmente, dopo svariate riforme e controriforme, dopo estenuanti ricette sfornate negli anni dai vari governi,  dopo i continui tagli all’istruzione in nome di una spending-review piovuta da effimeri obblighi imposti da una oligarchia tecnocratica al servizio delle banche, la scuola ha ancora la potenzialità di sfornare cultura e sicurezza del domani ai suoi studenti?    
Non voglio girarci intorno ma, parliamoci chiaro, "spesso" i migliori studenti italiani non sono il frutto di un percorso scolastico ben studiato e pianificato, ma occasionali esempi di persone cui madre natura ha regalato una capacità cognitiva ben al di sopra della media (è un dono legato al loro DNA). E così, come esistono studenti modelli esistono anche insegnanti modello. Il problema è che queste eccellenze sono troppo poche rispetto alle reali necessità che una nazione come la nostra dovrebbe avere per competere in questo mondo.

In questa nostra Italia un giovane laureato non è attratto dalla carriera di insegnante (se proprio non c'è portato) ma partecipa al concorso perché è l'occasione per avere un lavoro "sicuro" piuttosto che una vita professionale incerta e allora, se riesce, preferisce fare il professore di matematica o di ragioneria o di italiano in una scuola media secondaria piuttosto che l'ingegnere o il commercialista o l’avvocato (dico tanto per dire alcune professioni) per i cui titoli di laurea ha sacrificato uno spicchio consistente della propria vita. Il neo insegnante parte quindi dalla convinzione che non era  questo il futuro che immaginava e allora, quando viene a mancare la giusta motivazione, ne risente la sua resa. Magari è veramente preparato nella sua materia, ma non sempre la bravura fa rima con insegnamento (che è altra cosa). Si parte pertanto con il piede sbagliato, manca la passione per il proprio mestiere e si tira avanti con questo appiattimento mentale che si riflette, inevitabilmente, sul suo operato influenzando, quindi, la crescita culturale dei suoi studenti che si ritroveranno, di conseguenza, a dover affrontare il loro percorso con un bagaglio culturale fornito in maniera piatta e asettica.
Ed è qui che subentra il DNA di ciascun studente (i pochi, quelli baciati da madre natura, responsabilmente, curano la loro preparazione pensando al domani e cercano di arricchire e approfondire ciò che la scuola offre, i tanti affrontano il cammino quasi con rassegnazione pensando che la loro è soltanto una parentesi della vita che "devono" obbligatoriamente subire). È un circolo vizioso e allora cresce il desiderio di "fuggire" da questa nazione nella speranza di trovare all'estero quello che questo Paese non è in grado di dare: la speranza di un futuro.
Se desideriamo cambiare questo stato di cose, partiamo allora dalle fondamenta, la cultura non si inventa a colpi di riforme e spending-review ma la si raggiunge per gradi, con strumenti adeguati. La scuola è il motore di un Paese ed è su di essa che devono concentrarsi gli sforzi. Riappropriamoci delle nostre radici, del nostro glorioso passato ricco di personaggi che hanno fatto la storia stessa del mondo umanistico e scientifico, partiamo da lì, e allora: si riconsideri il ruolo degli insegnanti, si diano loro i mezzi, non solo economici, per poter operare con tutta tranquillità, si crei per i nostri studenti un terreno fecondo di interessi per stimolare il loro impegno, si avvicini la scuola direttamente al mondo che opera, si stipulino convenzioni con i vari soggetti del mondo lavorativo, si facilitino forme di  tirocini  presso le varie aziende o istituzioni, pubbliche e private già dalle medie superiori, si potenzi l’apprendimento delle lingue con stage all’estero e, viceversa, già dalle scuole elementari, si mettano tutte le famiglie, non solo quelle agiate, nella condizione di poter sopportare economicamente il peso di questo lungo cammino formativo e allora si che potremo sperare in una società generosa e attenta che non lascia partire più i propri figli ma li coccola e li mette in condizione di poter scegliere, liberamente e senza paura di sbagliare, il proprio futuro.       


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